Matteo Messina Denaro è ricoverato da ieri all’ospedale “San Salvatore” de L’Aquila. Il boss mafioso – catturato lo scorso 15 gennaio dai carabinieri del Ros – è stato trasferito dal carcere, dove si trova al 41 bis, al reparto di Chirurgia, con imponenti misure di sicurezza, e operato per un’occlusione intestinale.
«È completamente incompatibile con il regime carcerario soprattutto in quello più duro del 41bis. Con un tumore al quarto stadio, con la difficoltà anche a reggersi in piedi, deve essere immediatamente ricoverato», ha dichiarato l’avvocato abruzzese Alessandro Cerella che, dal 25 giugno scorso, affianca l’avvocata Lorenza Guttadauro nella difesa del capomafia.
I due legali presenteranno al tribunale della Libertà dell’Aquila un’istanza di ricovero urgente all’ospedale dell’Aquila dove Messina Denaro è stato sottoposto ad un intervento chirurgico urologico il 27 giugno scorso.
Secondo Cerella le condizioni di salute di Matteo Messina Denaro si sono aggravate nelle ultime settimane, tanto che il detenuto – riferisce – è costretto ad alimentarsi soltanto con succhi di frutta ed altri integratori. «Sul punto – ha aggiunto il legale – voglio evidenziare il lavoro straordinario, encomiabile che lo staff diretto dal professore Mutti porta avanti fin dal primo momento che ha preso in cura il mio cliente». Il quadro clinico aggravato sta portando il boss di Castelvetrano a continui ricoveri lampo all’ospedale, l’ultimo la settimana scorsa.
Intanto, sempre ieri, è stato reso pubblico il contenuto di un interrogatorio a cui è stato sottoposto dopo la cattura. Davanti ai pm il capomafia ha negato di aver fatto parte di Cosa nostra, respingendo le accuse di stragi e omicidi, specie quello del piccolo Giuseppe Di Matteo, il figlio del pentito rapito, strangolato e sciolto nell’acido dopo 25 mesi di prigionia. Messina Denaro ha anche smentito di aver mai trafficato in droga (“ero benestante, mio padre faceva il mercante d’arte”), e sostenuto che la sua latitanza è terminata solo a causa della malattia.
Nelle 70 pagine di interrogatorio, reso al procuratore di Palermo Maurizio De Lucia e all’aggiunto Paolo Guido, Matteo Messina Denaro mette subito in chiaro: “Escludo di pentirmi”. Accetta di rispondere alle domande, ammette solo quel che non può negare: il possesso di una pistola, la corrispondenza con Bernardo Provenzano, la vita da latitante scelta per difendersi dallo Stato che lo accusa “ingiustamente”.
“La mia vita non è è stata sedentaria, è stata una vita molto avventurosa, movimentata”, ha detto. “Non sono uomo d’onore. Io mi sento uomo d’onore ma non come mafioso. Cosa nostra la conosco dai giornali”. Ai magistrati, per spiegare il cambio di passo nella gestione della latitanza ha citato un proverbio ebraico: “Se vuoi nascondere un albero piantalo in una foresta”. “Ora che ho la malattia e non posso stare più fuori e debbo ritornare qua…”, si è detto dopo aver scoperto di avere il tumore “allora – ha raccontato – mi metto a fare una vita da albero piantato in mezzo alla foresta, allora se voi dovete arrestare tutte le persone che hanno avuto a che fare con me a Campobello, penso che dovete arrestare da due a tremila persone: di questo si tratta”.