Bentornati play-off

Ne parliamo con Giacomo Incarbona

Eccoli, i play-off più annunciati della storia della pallacanestro trapanese, addirittura i play-off dall’esito, secondo molti, più scontato nella storia dell’A 2, almeno da quando qualcuno non decise d’importare la formula dagli Stati Uniti. Qui se ne parla dall’estate scorsa, come se tutto quello che ci sarebbe stato prima (stagione regolare e formula ad orologio), avrebbe avuto lo stesso valore di un lunghissimo, estenuante, torneo di precampionato.

Mentre i motori sono caldi in vista dell’esordio di sabato sera contro Piacenza, di play-off e futuro del Trapani Shark parlo con Giacomo Incarbona, che se io e lui non ci sbagliamo, è l’unico trapanese, insieme a Francesco “Ciccio” Venza, ad aver vinto gli stramaledetti play-off di A 2, rispettivamente a Ferrara nel 2008 e a Capo d’Orlando nel 2005. Vinti non stando né in campo né in panchina, ma dietro le scrivanie di chi pensa e decide, indirizzando i soldi di chi li mette e provando a governare quelle bande di matti che sono le squadre, di tutti gli sport s’intende.

Loro, Incarbona e Venza, ci sono riusciti. Giacomo Incarbona è stato una specie di giramondo nell’Italia dei canestri: lasciata Trapani quando cominciavano ad avvertirsi gli scricchiolii del vecchio club che aveva toccato l’A-1, ha fatto l’allenatore o il vice fra Arezzo e Montevarchi, poi a Montegranaro e Sassari (con Stefano Michelini), quindi scout di giocatori americani, ancora in panchina nel femminile, tre anni a Faenza in A-1, con cinque giocatrici convocate in Nazionale e infine a Chieti. Abbandonata l’usurante panchina, otto anni a Ferrara, questa volta da direttore sportivo, affascinante piazza dove vince tre campionati, l’A-2 nel 2008, e in seguito, nel nuovo club, B-2 e B d’eccellenza. Da dieci anni, mentre tutti ne scappano, è tornato a Trapani a fare l’imprenditore.

La lunga presentazione, per far comprendere che capendone poco e avendo sempre vissuto qui in paese, mi sono rivolto a chi qualche partita in giro per l’Italia l’ha vista.

E allora, Incarbona, cosa sono di preciso i play-off, anzi cosa sono i play-off per chi deve vincerli ad ogni costo? “Una trappola. Da affrontare con molta cautela, senza dare nulla per scontato specialmente gara uno di ogni turno, la partita che tutti considerano traditrice. Perché la pressione sta tutta da una parte, l’esperienza aiuta i giocatori ma gestire la tensione non è mai facile. Nella prima partita devi avere l’energia per far capire all’avversario chi comanda e chi comanderà nella serie”.
Vista da Trapani, annunciata come la bella del reame? “Abbiamo un parco giocatori ricco, completo, numeroso. Tante soluzioni, la stazza fisica per difendere in un certo modo e per tutti i quaranta minuti. Insomma, partiamo da basi solidissime, e del resto i risultati ottenuti parlano chiaro”.

Vedi rischi? “Affidarsi solo alle percentuali in attacco è rischioso, tutti parliamo sempre di difesa ma non è né un modo di dire né un vezzo degli allenatori, è semplicemente la verità. Una squadra lunga come gli Shark, poi, ha bisogno che i giocatori si allineino, nel senso che ognuno di loro è un ingranaggio della macchina squadra, ogni giocatore deve rendere al massimo anche se avrà pochi minuti a disposizione”. Già, perché ai play-off nessun coach può gestire una partita pensando a non scontentare nessuno, e quindi potrebbe capitare che una star resti incagliata a lungo in panchina, e “a chi tocca nun se ‘ngrugna”, come dicono a Roma.

Da ex allenatore, quanto conta l’allenatore? “Conta molto, e in questi play-off Trapani potrà aver di fronte due vecchie volpi quali Alessandro Ramagli e Attilio Caja. Ne hanno viste tante e se esiste un modo per mettere in difficoltà Trapani, loro sono in grado di trovarlo, tanto più che rispetto ad Andrea Diana allenano la squadra da inizio stagione. Diana sta avendo poco tempo, soprattutto per trasferire alla squadra le sue idee. Per fortuna la formula ad orologio per noi è stata una specie di precampionato primaverile, il risultato contava poco, così ha potuto guadagnare un mese di lavoro”.

E in più, aggiungo io, inserire nel cast due attori protagonisti quali Gentile e Alibegovic non è un compito banale.
I lettori scaramantici tocchino ferro perché adesso si parlerà di futuro prossimo, ovvero della attesissima serie A. “Stiamo vivendo un grande momento, un ritorno di entusiasmo potente. Tutti siamo molto fiduciosi che il nostro prossimo campionato sarà la A, però occorre sapere che entreremo in un altro mondo, dal professionismo alla diversa costruzione delle squadre. Ma non solo, direi, un mondo popolato da gatti e volpi, nel quale ci si deve muovere con perizia e circospezione, specie per noi che arriviamo dal nulla, e che dovremo conquistarci il rispetto”.
Come si fa? “Direi ponendo bene le basi. Ruoli, gerarchie e disciplina ferrea nel rispettare le regole e i compiti. Lo staff deve vivere con le stesse regole della squadra, riconoscimento del lavoro e autonomia nello svolgerlo. E poi lo stile, tutti i grandi club ne hanno uno, dall’Olimpia Milano alla Virtus Bologna, da Varese alla Reyer Venezia. Chi ha fatto la storia del nostro sport deve rappresentare per noi un modello da imitare, avvicinandoci con umiltà e voglia d’imparare”.

Il presidente Antonini immagina una squadra vincente già alla prima stagione di A, play-off anche lì insomma, magari con qualche ambizione in meno: “E’ difficile ma non impossibile, ovviamente. Il punto è che la pallacanestro è molto cambiata, in peggio direi. Una volta c’erano due giocatori stranieri per squadra in A-1 e A-2, un giocatore europeo era equiparato ad un americano, eppure tutti i club avevano eccellenti giocatori italiani, non solo quelli del giro della Nazionale. E gli italiani forti li trovavi anche in B d’eccellenza. Oggi, con la crisi dei vivai, anzi con la loro distruzione, il bacino è molto ristretto. Prima pescavi in mare, ora in un lago. E quindi puoi mettere tanti soldi, ma al supermercato la merce in vendita quella è, e ci vanno a fare la spesa tutti. Quindi, secondo me, per vincere in serie A occorre un po’ di tempo, ma posso sbagliarmi”.

Il Campionato di A 2, trentatré anni fa, lo abbiamo vinto. Elementi in comune: zero. Allora partimmo per salvarci con la squadra che aveva vinto la B, più due americani, uno ricco di gloria, Reggie Johnson, e uno sconosciuto, Bobby Lee Hurt. Messi male a fine andata, nel girone di ritorno tutto cambiò e conquistammo i play-out, che rappresentavano l’inferno per i club di A 1, che giocavano per salvarsi, e uno spasso per quelli di A 2, salvi e che potevano togliersi lo sfizio di vincere il Campionato. Noi lo sfizio ce lo togliemmo, e chi c’era ancora ne gode, come fosse capitato ieri. In panchina avevamo Cacco Benvenuti: nel Trapani Shark di oggi, non sarebbe arrivato alla prima di campionato. Benvenuti era nato a Borgotaro, in provincia di Parma, e ci teneva che si sapesse, ma era livornese fino al midollo. Come Daniele Parente e Andrea Diana. E allora, come diceva quel tale, andiamo a comandare.

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