“Ho scritto di Giuda perché mi è sempre piaciuto raccontare le ombre. E poi perché i Vangeli, ogni volta che lo nominano, gli danno del traditore, anche quando non è necessario. E poi perché volevo metterlo al centro del dramma, e restituirgli l’ardore e il coraggio che la storia gli nega. E poi, per ultimo, come canta Vecchioni, perché ho sempre amato spostare i fiumi con il pensiero”.
Così dice Giacomo Pilati a proposito del suo ultimo libro, “Un attimo prima di Dio”, fresco di stampa per i tipi della casa editrice trapanese Di Girolamo. Ed in effetti la sua è una coraggiosa e riuscita operazione che colloca la figura di Giuda Iscariota al centro della narrazione della passione e morte di Cristo, trascinandolo fuori da quella oscurità, da quelle tenebre nelle quali è da sempre relegato a causa della sua scelta. Quel bacio con il quale – secondo le Scritture – consegna alla morte il Messia in cambio di trenta denari.
Esplorando le “ragioni di Giuda” ci si inoltra in uno dei percorsi più irti del pensiero cristiano, non solo perché c’è in gioco la libertà della creatura rispetto ai disegni del Creatore ma anche perché nell’apostolo traditore – lo zelota, unico tra i seguaci più stretti originario della Giudea – si condensano, come attesta una sterminata letteratura sul tema, le luci e le ombre del cuore umano, il suo sogno di bene e la sua capacità di compiere il male, il baratro della disperazione e la speranza della redenzione, e la domanda più radicale su Dio, cioè se la sua misericordia sia tanto grande da perdonare e accogliere anche il più abietto degli uomini. Una domanda che, nel caso di Giuda, rimane senza risposta: quel perdono lui non lo cerca e non lo chiede.
Pilati si misura nel compito che ha scelto con la sua scrittura agile ma curatissima, densa e poetica – nel senso della capacità di parlare per immagini come solo la Poesia sa fare – una scrittura che accompagna il lettore nei mille rivoli delle emozioni e dei sentimenti. Il suo è un viaggio coraggioso nell’inesplorato, nel non detto, in ciò che potrebbe essere (o è stato?) che impregna le sue pagine di quelle domande, più che di risposte, che ogni buona lettura dovrebbe produrre.
Le pagine di “Un attimo prima di Dio” mi hanno riportato alle suggestioni de “L’ultima tentazione di Cristo” di Kazantzakis o a quelle del racconto “Tre versioni di Giuda” di Borges, al “tradimento fedele” di cui ha scritto Gustavo Zagrebelsky e a “L’altra passione” di Giuda e il suo “tradimento necessario” di De Signoribus. Dentro ci sono il testo apocrifo del Vangelo di Giuda e la potenza dell’omelia del Mercoledì Santo di don Primo Mazzolari tanto cara a papa Francesco (riportata, peraltro, nel volumetto).
Nella loro scia, Pilati compie un passo ancora più ardito e ci consegna una diversa verità, sconcertante e umanissima, “un attimo prima di Dio”, per “raccontare il possesso tribale della bellezza che non sfiorisce. Per non rischiare l’insolvente discesa dalla croce”. Un atto ultimo (ma anche primo) di presunzione umana o di prorompente umanità del Divino?