Alcuni post pubblicati sulla pagina satirica trapanese “Memesuddu” “trascendono in maniera evidente i confini della satira, per tramutarsi in mere offese alla reputazione e al decoro” dell’animalista Enrico Rizzi. Lo ha deciso il Tribunale civile di Trapani in composizione monocratica accogliendo, parzialmente, le richieste avanzate dai legali dell’influenzer.
I collegamenti dei post pubblicati dal gestore Silvestro Bonaventura “con l’attività di dimensione pubblica svolta dall’attivista nell’ambito della tutela degli animali – si legge nella pronuncia – sono labili e costituiscono un mero pretesto per indulgere in insulti gratuiti alla persona di Enrico Rizzi”.
Contrariamente a quanto richiesto dai legali dell’animalista, invece, il giudice non ha ritenuto che sussistessero le condizioni per configurare anche il danno patrimoniale causato dal gestore della pagina satirica ma solo quelle per il danno da diffamazione a mezzo stampa o con altro mezzo di comunicazione di massa che è stato riconosciuto nella somma di 7.000 euro.
Il giudice ha, d’altro canto, accolto la richiesta di risarcimento avanzata dal gestore di Memesuddu per avere Rizzi rivelato in pubblico e senza il suo consenso, la sua identità, fino a quel momento non conosciuta dai follower della pagina satirica. Il danno è stato quantificato in 1.000 euro.
In presenza di tali crediti reciproci ormai liquidi ed esigibili, a seguito di compensazione, il giudice ha stabilito che Bonaventura dovrà quindi pagare la somma di 6.000 euro in favore di Rizzi oltre agli interessi legali che matureranno dalla data della decisione del Tribunale all’effettivo soddisfo.
Il giudice ha, inoltre compensato le spese di lite per un quarto, condannando il convenuto a rifondere a Rizzi la restante parte, liquidata in 2.169 euro di cui 1.905 euro per compensi e 264 euro per esborsi, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge.
Nella sentenza, il giudice ricorda che “la satira, quale diritto soggettivo di rilevanza costituzionale, comunque espressa, in forma scritta, orale o figurata, è riproduzione ironica e non cronaca di un fatto ed esprime un giudizio che necessariamente assume connotazioni soggettive e opinabili, sottraendosi ad una dimostrazione di veridicità, ma pur sempre soggetta al limite della continenza e della funzionalità delle espressioni adoperate rispetto allo scopo di denuncia perseguito. Così essa, al pari di ogni altra manifestazione del pensiero, non può infrangere il rispetto dei valori fondamentali della persona, attribuendo condotte illecite o moralmente disonorevoli, con accostamenti volgari o ripugnanti, o deformando l’immagine in modo da suscitare disprezzo o dileggio” nel pubblico.
Secondo il giudice, quindi, “l’intento caricaturale non è rinvenibile nel mero accostamento tra la figura del Rizzi e quella di un cane o di una ‘bestia’ o, addirittura, di Hitler”, come avvenuto in post per i quali l’animalista ha adito le vie legali, così come risultano “del tutto sconnesse con l’impegno sociale del Rizzi le pubblicazioni in cui lo stesso è ritratto con le vesti di un pagliaccio, o, comunque, accostato ad un clown o a un pericoloso maniaco”, pubblicazioni in cui, scrive il giudice, “la volontà denigratoria o di dileggio sono assolutamente preponderanti”.
A seguito della sentenza di condanna al risarcimento dei danni il gestore della pagina satirica ha avviato, su una piattaforma online, una raccolta fondi.