Il Tribunale di Trapani, primo caso in Italia, ha riconosciuto il diritto di una
transgender a cambiare nome e identità di genere all’anagrafe senza essersi sottoposta o essere in lista per l’intervento chirurgico e senza alcuna terapia ormonale.
I giudici hanno richiamato un principio contenuto in una sentenza della Corte di Cassazione che ha consentito a un’altra transgender di legittimarsi come donna prima dell’operazione che, in quel caso, era pianificata.
Emanuela, 53 anni, di Erice, ha raccontato la sua storia in un’intervista al quotidiano La Repubblica, spiegando che già all’età di 5 anni sentiva dentro di sé “un universo femminile. Perché quando si è transgender il bambino, o la bambina, percepisce la sua identità nell’immediato”.
Circa 20 anni fa ha iniziato il percorso per la riassegnazione di genere per via ormonale e chirurgica che, per la legge, è un passaggio obbligatorio per chiedere il cambiamento all’anagrafe e sui documenti. “Quando i medici mi spiegarono le conseguenze, vista l’alta invasività del trattamento, ho scelto però di non farlo — ha raccontato — e di convivere in armonia con il mio corpo. Non avere l’organo sessuale femminile non compromette il modo in cui mi percepisco, le mie sembianze non offuscano la mia identità femminile”.