Un maresciallo dei Carabinieri e un consigliere comunale di Mazara del Vallo sono finiti agli arresti domiciliari per aver tentato di vendere al fotografo Fabrizio Corona documenti segreti sulle indagini per la cattura di Matteo Messina Denaro.
Il militare, L.P. è accusato di accesso abusivo al sistema informatico e violazione del segreto d’ufficio, il complice, G.R., di ricettazione. L’indagine è stata coordinata dal procuratore di Palermo Maurizio de Lucia e dall’aggiunto Paolo Guido.
Secondo la ricostruzione dei pm, il carabiniere, in servizio al N.O.R. della Compagnia di Mazara del Vallo e coinvolto nelle attività investigative, si sarebbe introdotto illegalmente nel sistema informatico dell’Arma e avrebbe prelevato copia di 786 file riservati relativi alle indagini per la cattura del boss – arrestato a Palermo dai carabinieri del Ros il 16 gennaio scorso – per consegnarli al politico. Quest’ultimo avrebbe contattato Corona per vendergli i documenti coperti da segreto. Poi, su indicazione dello stesso fotografo, si sarebbe rivolto a Moreno Pisto, direttore del quotidiano online Mow, proponendogli di acquistare il materiale.
I Carabinieri hanno anche perquisito la casa milanese di Fabrizio Corona che risulta indagato per tentata ricettazione.
Tra i file riservati sulla cattura di Matteo Messina Denaro prelevati – riporta ANSA – c’era anche un documento del Ros con la programmazione dei luoghi da perquisire dopo l’arresto del capomafia. Nella versione del file trafugata dal militare, per un errore di trasmissione, non era indicata l’abitazione di vicolo San Vito a Campobello di Mazara, in cui il mafioso ha trascorso l’ultimo periodo di latitanza, intestato al suo alter ego, il geometra Andrea Bonafede.
Una circostanza usata dal maresciallo e dal suo complice per imbastire un “giallo” sul presunto disegno degli investigatori di ritardare la perquisizione della casa e nascondere materiale scottante. Il piano dei due è stato, però, sventato dalla Dda di Palermo e dagli stessi Carabinieri che hanno approfondito la vicenda accertando che, subito dopo l’arresto di Messina Denaro, i militari del Raggruppamento Operativo Speciale hanno cominciato a perquisire, uno per uno, tutti gli immobili riconducibili a Bonafede alla sua presenza. Nell’appartamento di vicolo San Vito, che era stato fin dal principio inserito nell’elenco del Ros, gli investigatori erano arrivati il pomeriggio stesso del 16 gennaio dopo aver ispezionato le altre proprietà. Dopo essere entrati nell’abitazione, gli uomini dell’Arma compresero che quella poteva essere stata l’ultima dimora di Messina Denaro. Intuizione che Bonafede aveva poi confermato.