La scomparsa di “Pablito”, il ricordo di Francesco Rinaudo

Si è spento Paolo D’Angelo, per tutti rimarrà sempre Pablito

Primavera inoltrata del 1978, il Trapani club “Raimondo Massa” si era da poco trasferito in via Serraino Vulpitta.

Tra le saracinesche del club granata, che potete scorgere nella foto, e il portone di casa mia c’erano non più di 30 metri.
E fu una mattina di quel giugno del 1978 che, incuriosito dai nuovi vicini, entrai nella sede del club e lo vidi per la prima volta mentre metteva in ordine e dava una spazzata al pavimento: Pablito!

All’anagrafe Paolo D’Angelo era, all’epoca, il custode del “Raimondo Massa”: sciarpa granata su maglietta rossoblu, i suoi due amori calcistici, il Trapani e il Genoa, per avere vissuto alcuni anni nel capoluogo ligure. Era un semplice, di animo buono ma con una capacità di proselitismo incredibile. Era l’unico in grado, da solo, di raccogliere fondi abbondanti per i fumogeni, gli striscioni e le coreografie del club. E con il tempo diventó il riferimento di tutti coloro che ad inizio degli anni Ottanta partecipavano alle trasferte domenicali in pullman del club per seguire il Trapani in giro per la Sicilia in serie D.

Io ero uno degli habituè. Già il martedì, appena mi vedeva uscire dal portone di casa, mi gridava di avvicinarmi e mi diceva che mi stava iscrivendo per la trasferta della domenica successiva (per la serie: sgancia la quota di partecipazione). Poi, il giorno della partenza, mi ricordo che, se tardavo solo di qualche minuto a scendere da casa, lui veniva a bussarmi al citofono. Era mia madre che, di solito, gli rispondeva e lui – cu na vuciata chi si sintia fino o campo CONI – minacciava: “ci ricisse a Francesco chi scinne, u pulmann si ni sta ghienno!”.

Ed io mi precipitavo giù a rotta di collo, taccuino e registratore per le interviste negli spogliatoi nello zaino e panini che mia madre mi dava al volo… Poi il pullman partiva dopo mezz’ora ma per Paolo era un dettaglio, lui voleva tutti presenti davanti al mezzo e ci contava mentre ci faceva salire a bordo. Era l’ultimo a salire, col sorriso sempre stampato sul volto. Non cambiava mai espressione, se non quando il Trapani perdeva ed il rientro in città non era dei più allegri.

Molti lo ricorderanno scorrazzare Trapani Trapani a bordo del suo motorino grigio. Lo parcheggiava sempre davanti al club, alle volte sul marciapiede dirimpetto. Ogni volta che passavo da lì mi domandavo sempre come quel motorino riuscisse a resistere al suo peso, quando, mentre lo guidava, il ciclomotore sembrava dovesse cedere di schianto da un momento all’altro. Assieme abbiamo praticamente vissuto 20 anni ininterrotti di Trapani calcio ed anche quando il “Raimondo Massa” lasció la sede di via Serraino Vulpitta la mia frequentazione con Paolo non venne meno; era ormai assurto ad icona rappresentativa della tifoseria granata.

Lo incontravo dappertutto: sul traghetto per Napoli in occasione delle trasferte in Campania. In giro per il Meridione d’Italia. Allo stadio o in città, ad ogni evento che riguardasse il Trapani. Lui era più che una mascotte. Ormai era un simbolo della tifoseria granata. Sapevo, come tutti, delle sue difficoltà, di salute e di lavoro. Per questo non mi tiravo mai indietro, quando mi chiedeva il contributo per il tifo allo stadio. Sapevo che quei soldi erano invece per lui e glieli davo volentieri, facendo finta di niente.

E lui mi raccontava che era in partenza per Genova, stadio Marassi: dove lo attendevano i suoi fratelli rossoblu. Così come, quando a Trapani venivano i tifosi della Turris, per lui erano sempre abbracci e baci da parte di questi ultimi, così come quando era lui ad andare dai corallini.

Lo ritrovai più pimpante che mai durante l’era Morace. Praticamente era un inquilino aggiunto della sede di via Orlandini; ci aspettava tutti al varco e ci proponeva sempre l’acquisto di gadget vari. Era il suo modo per tirare avanti.

Ultimamente, lo incontravo di rado ma ogni volta che lo vedevo mi tornava in mente la sua immagine in curva, quando sventolava una grande bandiera granata. Era l’immagine più bella, perché lì c’era tutta la sua vita, fatta di difficoltà ma anche di passione per i colori della sua squadra del cuore, che gli davano sempre e comunque la gioia ed il sorriso di un bambino felice.

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