Sono undici le ordinanze di custodia cautelare in carcere eseguite stamane dai Carabinieri insieme al sequestro di beni, per un valore complessivo di oltre 225 milioni di euro, e alla notifica dell’avviso di conclusione indagini nei confronti di 153 indagati nell’ambito di un’inchiesta della Dda di Milano secondo cui la mafia di Castelvetrano, la camorra romano-napoletana e la ’ndrangheta calabrese farebbero affari insieme in maniera strutturata. Nelle attività di oggi, comprensive anche di 60 perquisizioni, sono stati impegnati più di 600 militari dell’Arma sull’intero territorio nazionale.
L’indagine ha riguardato un contesto criminale, operante prevalentemente tra Milano e la sua provincia e Varese e la sua provincia, formato da soggetti legati alle tre diverse organizzazioni di stampo mafioso. Secondo la ricostruzione della Procura, Cosa nostra, ’ndrangheta e camorra, avrebbero creato una sorta di sistema mafioso lombardo – il “Consorzio” – in grado di gestire risorse relazionali, operative e finanziarie mettendo in comune società, capitali e liquidità.
Secondo le indagini, coordinate dal procuratore capo di Milano Marcello Viola (già procuratore a Trapani), il capo della Dda Alessandra Dolci e la pm Alessandra Cerreti, ci sarebbe unalleanza tra le mafie in Lombardia, ipotesi di cui aveva parlato lo scorso mese di agosto lo stesso procuratore Viola durante un’audizione alla commissione Antimafia. Recenti inchieste, aveva detto, “hanno evidenziato accordi stabili e duraturi tra ’ndrangheta, criminalità siciliana e quella di stampo camorristico”, fenomeno “particolarmente allarmante in quanto dà solidità” a una rete trasversale attiva soprattutto nel “settore del riciclaggio”. Dinamiche mafiose che, aveva spiegato Viola, “definiscono un network che si salda su interessi concreti”.
La tesi è riportata anche nell’ultima relazione semestrale della Dia, la Direzione investigativa antimafia, in cui si legge: “In Lombardia i sodalizi mafiosi sarebbero ‘scesi a patti’ per assicurare alle aziende affiliate una sorta di rotazione nell’assegnazione dei contratti pubblici, pilotando le offerte da presentare e contenendo anche le offerte al ribasso degli oneri connessi”.
La ricostruzione della Procura, però, non è stata condivisa dal gip che ha accolto solo 11 richieste di arresto sulle 153 proposte. I pm hanno annunciato ricorso al Tribunale del Riesame.
Tra gli indagati dalla Dda di Milano figura anche il 76enne pregiudicato per mafia Paolo Aurelio Errante Parrino, ritenuto il punto di riferimento di Matteo Messina Denaro e del mandamento di Castelvetrano nel Nord Italia. Parrino avrebbe mantenuto i rapporti con il boss, morto lo scorso 25 settembre, a cui – secondo gli inquirenti – avrebbe “trasferito le comunicazioni relative ad argomenti esiziali per l’associazione mafiosa”. Parrino è uno dei soggetti di cui i pm avevano chiesto la custodia cautelare non accolta dal gip.
Parrino avrebbe incontrato ad Abbiategrasso, quando Messina Denaro era ancora latitante, Antonio Messina, detto l’avvocato, uomo vicinissimo al boss che, stando alle indagini, sarebbe stato coinvolto direttamente nella gestione degli affari lombardi. E questo per due motivi: la vicinanza diretta di Errante ai familiari di Messina Denaro e diversi incontri svoltisi in Sicilia tra i protagonisti principali del “Consorzio” e Antonio Messina. Uno, quello del 2 febbraio, è avvenuto a Campobello di Mazara in un bar a cento metri da uno dei covi di Matteo Messina Denaro scoperti dopo la sua cattura a Palermo il 16 gennaio di quest’anno. Di Castelvetrano sono anche due imprenditori che avrebbero messo a disposizione del “cartello” milanese oltre duecento società, anche estere, per riciclare denaro e accumulare milioni di euro con crediti fittizi.