“Non v’è dubbio che le condotte realizzate da Bonafede abbiano di fatto consentito a Messina Denaro di sottrarsi sia all’esecuzione delle pene definitivamente irrogategli per numerosi efferati delitti, sia di eludere le investigazioni dell’autorità in ordine alla persistente condotta direttiva organizzativa dell’associazione mafiosa Cosa nostra, operante nella provincia di Trapani, posta in essere dallo stesso Messina Denaro”.
Così hanno scritto i giudici del tribunale del Riesame di Palermo che ieri hanno depositato le motivazioni del provvedimento con il quale è stata respinta la richiesta di scarcerazione presentata da Andrea Bonafede, accusato di aver recapitato al capomafia, ammalato, ricette e prescrizioni del medico Alfonso Tumbarello intestate falsamente all’omonimo cugino geometra.
Andrea Bonafede è accusato di favoreggiamento e procurata inosservanza della pena. Il “postino” del boss, spiegano i giudici “ha in concreto consentito al latitante di ridurre la sua esposizione e il conseguente rischio di essere individuato e arrestato che sarebbero derivati dall’eventuale accesso di quest’ultimo allo studio medico”.
I giudici hanno inoltre sottolineato le “dichiarazioni contraddittorie rese dall’indagato in sede di interrogatorio, peraltro smentite dai successivi atti d’indagine indicati” e spiegano che “gli elementi indiziari raccolti hanno consentito di accertare come l’indagato, stante la piena conoscenza dell’identità di Messina Denaro, abbia agito con “la consapevolezza che l’azione illecita che stava compiendo, consentendo al capo della consorteria di svolgere appieno il proprio ruolo di vertice, potesse quanto meno inscriversi nelle possibili utilità dell’associazione mafiosa”.