Inchiesta su dati Covid in Sicilia: Procura di Palermo toglie dalle contestazioni le false comunicazioni sui decessi

Il numero dei morti non incide sulla decisione che colloca i territori in una fascia di colore invece che in un'altra

La Procura di Palermo, a cui i pm di Trapani che hanno avviato l’inchiesta hanno trasmesso gli atti per questioni di incompetenza territoriale rispetto al luogo dove sarebbero stati commessi i reati, ha tolto dai capi di imputazione contestati alla dirigente dell’Assessorato regionale alla Salute Letizia Di Liberti – finita ai domiciliari lo scorso 30 marzo – la parte relativa alle false dichiarazioni sul numero dei decessi per Covid in Sicilia. Lo riporta un articolo su Repubblica.it

La burocrate regionale, come si ricorderà, è indagata per falso nell’ambito di una inchiesta sui dati della pandemia comunicati all’Istituto Superiore di Sanità. Nella ricostruzione originaria dell’accusa, dall’Assessorato sarebbero stati dichiarati meno morti e meno positivi al virus per evitare che la Sicilia finisse in zona rossa.

Diversa la valutazione dei pm di Palermo: il numero dei decessi, infatti, non incide in alcun modo sulla decisione che colloca le Regioni in una fascia di colore invece che in un’altra. Lo scorso 15 aprile la dirigente è stata sentita in Procura e ha sostenuto che proprio dall’Assessorato siciliano sarebbe arrivato il “suggerimento” all’Iss di inserire la Sicilia tra le zone a rischio in quanto, nonostante i dati non fossero ancora tali da richiedere una scelta immediata in tal senso, il trend era molto preoccupante.

L’inchiesta riguarda anche l’ex assessore alla Salute Ruggero Razza che si è dimesso dopo aver ricevuto l’avviso di garanzia. Proprio una delle frasi degli indagati sui decessi intercettate ha fatto molto scalpore. “I deceduti glieli devo lasciare o glieli spalmo?”, chiedeva la dirigente. “Ma sono veri?”, diceva Razza. “Si, solo che sono di 3 giorni fa”, rispondeva. E Razza dava l’ok: “spalmiamoli un poco”.

Davanti al gip di Palermo Di Liberti si è detta amareggiata e dispiaciuta. I fatti contestati, secondo la sua versione, sarebbero dovuti solo a problemi organizzativi, legati al fatto che molte strutture sanitarie periferiche non comunicavano puntualmente i dati.

L’ex dirigente ha spiegato che, spesso, al Dasoe non arrivavano i dati giornalieri dai vari laboratori e ospedali dell’Isola, oppure arrivavano aggregati, relativi a più giorni. Ma, data la necessità di fornire bollettini quotidiani sull’andamento dell’epidemia, si è pensato di “correggere” i numeri e omologarli alla situazione “reale” e in linea con quelli dell’Istituto Superiore di Sanità a cui venivano trasmessi. Tant’è che, ha detto sempre Di Liberti al gip, i dati sull’andamento settimanale del Covid in Sicilia sarebbero in linea con quelli forniti dall’Iss.

La dirigente regionale ha respinto l’accusa di aver modificato i numeri per fini politici: evitando la zona rossa sarebbero piovute polemiche e forti critiche al governo regionale. Per la dirigente, anzi, sarebbe stata lei – e quindi il presidente della Regione Nello Musumeci – lo scorso mese di gennaio, a chiedere la zona rossa in Sicilia, visto l’andamento preoccupante dei casi.

In questi giorni sono stati interrogati anche gli altri due arrestati nel corso del blitz dei Nas: Salvatore Cusimano, dipendente dell’Assessorato regionale all’Industria, ed Emilio Madonia, dipendente della società privata che si occupa della gestione del flusso dei dati sul Covid. Anche loro hanno attribuito al caos organizzativo la manipolazione dei dati comunicati giornalmente.

I tre indagati restano ai domiciliari e domani il gip dovrà decidere se confermare la misura cautelare, applicarne una alternativa o revocarla.

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