“Gigi” di Andrea Castellano

“Remember when you were young, you shone like the sun”
Shine On You Crazy Diamond, Pink Floyd, 1975

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Palestra Tenente Alberti, aprile 1984. Dentro la minuscola stanzetta del massaggiatore, dovevo intervistare Gigi. Fra tre giorni si sarebbe giocato il derby col Marsala, la sua ultima partita a Trapani. Mi veniva difficile cominciare: da sfigato a tempo indeterminato, l’altrui bellezza, maschile o femminile che sia, mi ha sempre intimidito. E Gigi, obiettivamente, era bellissimo: così fu l’intervento brusco di Mimmo a scuotermi. “Andrea sbrigati, non abbiamo tutta la giornata”. Feci le due o tre domande di rito, e fine. E si avvicinava alla fine anche una storia iniziata nella torrida estate del 1982, l’estate dell’urlo di Tardelli.

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“Ragazzi, ma dove siamo capitati, qui c’è un caldo bestiale e ci dobbiamo scannare fra noi per un contratto”. Soffiava un implacabile scirocco, e dell’estate del 1982 mi ricordo solo questo, scirocco, sudore e mondiali in Spagna. Ma c’era dell’altro, anzi alla Dante Alighieri c’era molto altro. C’erano un sacco di giocatori di pallacanestro, chiamati a raccolta da Mimmo che doveva costruire una squadra forte per vincere il campionato di C-1 e portare per la prima volta la Pallacanestro Trapani in serie B, dove c’era già Marsala, e la circostanza non era estranea all’urgenza di vincerlo, quel campionato.
C’era caldo ma quei ragazzi correvano come matti, e Mimmo la squadra la costruì in quei giorni. C’era un bel play-maker e Vincenzo lo voleva prendere, Mimmo a bloccarlo dicendogli “no, presidente, prendiamo quel nano lì che si chiama Mannella”. Erano gli anni belli in cui comandavano gli allenatori, e Vincenzo non fiatò.
C’era una guardia flessuosa, stilosissima, criniera castana di ricci, tecnica di tiro perfetta, ma anche visione di gioco e molto altro. Si chiamava Gigi, Mimmo prese anche lui. Da quel casting, come lo si chiamerebbe oggi, nacque una jazz-band, prima che una squadra di pallacanestro.

La formazione 1982-1983 della Pallacanestro Trapani con Luigi Ranieri in maglia numero 4, 642 punti realizzati nella Regular Season (fonte foto pallacanestrotrapani.wordpress.com via alessandraortenzi.it)

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Il completino nuovo era semplice e bellissimo: fondo granata o bianco, calzoncini elasticizzati, tagliati corti allo stacco superiore del quadricipite. Gigi aveva il numero 4, il suo numero portafortuna. Marchio di fabbrica, il tiro da fuori, ma solo vederlo portare avanti la palla e chiamare lo schema, quando lo faceva al posto di Ciccio, era uno spettacolo d’eleganza. Poi c’era quell’azione lì: rimbalzo difensivo, palla a Ciccio, passaggio lungo, millimetrico, che finiva fra le mani di Gigi, terzo tempo con la leggiadrìa di un Nurejev, canestro. La difesa avversaria a non accorgersi nemmeno di cos’era successo.
Vincenzo era amico dei dirigenti di Caserta, e in precampionato quelli – per noi i terroni che ce l’avevano fatta e che volevamo imitare -, accettarono di giocare una partita qui, alla Dante Alighieri. Capirete che vedere schierati in quella palestrina senza parquet coach Tanjevic e Slavnic, Carraro, Donadoni, il quindicenne Nando Gentile, Ricci, Simeoli, Mastroianni e sua maestà Oscar, a noi ventenni faceva un certo effetto. Era come se Vincenzo ci dicesse “tutto questo un giorno sarà vostro”, e noi sapevamo che non poteva essere vero.

Boscia mentre pratica il suo sport preferito con Delibasic: la cazziata (foto via juvecasertareport.blogspot.com)

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Cominciò il campionato: due partite alla Dante Alighieri, poi trasferimento alla Tenente Alberti, la palestra nuova col parquet, più grande. Piccola, in realtà, ma per noi immensa anche se la domenica dovevi metterti in fila due ore prima, se volevi trovare uno straccio di posto, magari sui gradini o sopra, in una specie di balcone, o sulle scale che conducevano al balcone. Insomma, l’importante era entrare, ed avere il biglietto non era garanzia di riuscirci. Quella era una squadra straordinaria (quanto talento, ed era solo C-1…), ma anche le migliori jazz-band ogni tanto sbagliano serata, e così quel campionato non fu una corsa verso la gloria come ci attendevamo. Cavalcata ostacolata dalla Virtus Ragusa, la squadra di Peppe Cassì e Ninni Gebbia, e di Andrea Pascolo, che non sbagliava un tiro, e dalle Forze Armate, che già il nome incuteva timore, una specie di All Star di giocatori alle prese col servizio militare. Una concorrenza sleale in piena regola, ma allora funzionava così.
Ma fortunatamente non c’era solo il campo. Per comprendere lo spirito dell’epoca, occorre spiegare che a quei tempi, per i giocatori, c’era vita oltre il parquet: non si allenavano due volte al giorno, più i pesi, più i video, più le schede tecniche degli avversari da studiare a casa, per poi fare le stesse cagate di chi s’allena in ciabatte. E così, quei giocatori, li vedevi spesso in mezzo a noi, quando la zona che va da piazza Sant’Agostino fino alla gelateria Gino era territorio nostro. Gigi passeggiava con la fidanzata, Bibba, ed era la coppia glamour della città: bellissimi, e, fidatevi, di coppie che sembravano atterrate a Trapani direttamente da Hollywood a quel tempo ce n’erano diverse. Colonna sonora, la musica di Pino Daniele e James Taylor.

Foto interna dell’album Vai mo’. In senso orario, da sinistra in alto: Fabio Forte, Pino Daniele, Tullio De Piscopo, James Senese, Rino Zurzolo, Joe Amoruso, Tony Esposito

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A volte li seguivamo in trasferta. Andavamo in pullman, organizzavamo io e Paolo. Era faticoso (non c’erano i cellulari e i gruppi WhatsApp), ma era bellissimo. Una cinquantina, ragazzi e ragazze, pacifici. Vincevamo spesso, ogni tanto venivamo accolti con modi e cori un po’ bruschi, ma niente di grave. A Barcellona quando arrivammo la palestra era vuota. Qualcuno andò ad avvertire che erano arrivati gli “stranieri”, e così una curva si riempì di brutti ceffi. La partita fu sospesa due volte per invasione di campo, qualcuno di noi, intimidito, si rintanò nel pullman rinunciando a vedere la partita. Alla fine, punto a punto, canestro della vittoria di Fedele sul fischio della sirena. Altra invasione, caccia agli arbitri, noi ad esultare in silenzio fuggendo letteralmente da quel postaccio.
Arrivarono i play-off: non avevamo dominato, ci toccò proprio la Virtus Ragusa, al di là del clima del derby, avversaria rognosissima. Prima partita, il 15 maggio, alla Tenente Alberti: Trapani-Ragusa 135-130, dopo tre supplementari, il nostro Italia-Germania 4-3. Tre ore prima dell’inizio del match in fila fuori dalla palestra, poi una partita infinita, in un caldo infernale, giocata male e strappata coi denti, nel supplementare in quattro contro cinque. Quei quattro, Fabio, Fedele, Totò, Matteo, ancora oggi al bar trovano qualcuno che gli ricorda quell’epica notte. Gigi dimostrò di non essere solo classe e tecnica: ne fece 29, fu espulso, la criniera e il ruggito del leone.
A quel tempo fra un match e l’altro si respirava: gara due a Ragusa la domenica successiva. Andammo in pullman, convinti di festeggiare in terra straniera. Ci asfaltarono, 97-62, mai in partita. Un crollo nervoso in piena regola. Tornammo a casa con la coda fra le gambe, assaliti da dubbi atroci.
La settimana passò lenta, in città non si parlava d’altro. Il giorno della bella, 29 maggio, palestra stracolma e tensione a mille. Altra partita così così, ma passiamo, 93-81, Gigi 16, per la squadra jazz-band è missione compiuta. Trapani per la prima volta in serie B, quando la serie B era una cosa seria.

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La serie B propone una navigazione da crociera. Poche scosse, solo qualche emozione forte. Come all’esordio, contro la corazzata Porto San Giorgio, quando Mimmo spedì un pivot, Totò, a marcare faccia a faccia Bob Quercia, un’ala piccola, mossa che ci fece vincere la partita. Come aveva fatto Dan Peterson, sempre in quegli anni, mettendo il falegname Vittorio Gallinari sul re di Roma Larry Wright, in una di quelle indimenticabili sfide Milano-Roma.
Gigi è sempre al centro dell’attenzione, benchè molte stelle siano rimaste ed altre siano arrivate: quelle di Angelo e Bibo destinate a brillare a lungo, tenue quella di Alex, acciaccato già in precampionato. A marzo, quando la stagione volge al termine, Gigi ne segna 37 in casa contro San Severo: non c’era ancora il tiro da tre punti, immaginate, ci fosse stato l’arco, quanti sarebbero stati quei punti.
Però, attorno a Gigi, giravano strane voci. A quel tempo, e per quella società, prendere un giocatore e tenerlo dieci anni era un’operazione abbastanza normale. Invece girava voce che Gigi, il maschio alfa della squadra, sarebbe andato via. Per sua scelta, per una possibilità di lavoro a casa sua, a Scauri. Nessuno poteva crederci, ma purtroppo era vero.
Così, quel pomeriggio di quell’intervista nella minuscola stanzetta, io sapevo, lui sapeva, la città sapeva, e questo non faceva che aggravare il mio imbarazzo.
Il derby lo giocammo il 29 aprile, e lo stravincemmo, 109-72. Vincemmo contro mezzo Marsala, ma facemmo finta di niente. Negli ultimi minuti, a match ampiamente deciso, un gruppetto di tifosi cominciò a cantare: “Resta con noi, Gigi Ranieri”. Altri presto si unirono, e il “Resta con noi, Gigi Ranieri” si propagò come un’onda: prese tutta la gradinata, poi la tribuna dietro il canestro, quindi salì le scale e giunse su quel grande balcone: “Resta con noi, Gigi Ranieri, resta con noi, Gigi Ranieri”, tutti in piedi, sempre più forte, non la finivano più. Gigi alzò le braccia, a ringraziare e ad implorare che la smettessero, mentre scendevano le lacrime, a lui e a tutti. “Resta con noi, Gigi Ranieri, resta con noi, Gigi Ranieri”: davvero, non la finivano più.

Pallacanestro Trapani 1983-84 (foto via pallacanestrotrapani.com)

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(Erice, Pasquetta 2006. Tardo pomeriggio, sono a San Giovanni, la strada che domina il parcheggio ed una delle valli più belle del mondo. Alle mie spalle giunge una berlina, suona il clacson, accosta. Dall’auto scende Pietro, mi sorride. C’eravamo visti all’alba di due giorni prima, lui come sempre al fianco del suo gruppo dei Misteri. Ci abbracciamo. Mi dice: “Guarda chi c’è”. Dalla portiera posteriore scende una donna. “E’ Bibba, non la riconosci? E’ venuta a trovarci insieme alla figlia”. No, non l’avrei riconosciuta, erano trascorsi più di vent’anni. E, poi, figurarsi: se faticavo a parlare con Gigi, immaginiamo con una ragazza che sembrava una stella del cinema.
Poi, noi tre disposti a cerchio, commossi e incapaci di pronunciare una parola. E mentre s’alzava un po’ di vento, come a darci una mano a resistere.)

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