Erice e Trapani dal mitico volo delle colombe alla “Grande Città”

Il professore Salvatore Corso ha inviato una minuziosa ricerca sull'evoluzione del nostro territorio. "La complementarità naturalistica e storica potrà incrementarle scambievolmente, se un unico progetto non ne sminuirà le risorse tradizionali"

“Vitale ugualmente per le due città, seppure per esigenze diverse, appare la sistemazione del rispettivo territorio: per Trapani vuol dire sviluppo, per Erice rilancio turistico”. Con queste parole lo studioso Salvatore Corso spiega come si è evoluta negli anni l’organizzazione amministrativa del nostro territorio. Una ricerca approfondita, minuziosa che riceviamo e pubblichiamo interamente.

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Vitale ugualmente per le due città, seppure per esigenze diverse, appare la sistemazione del rispettivo territorio: per Trapani vuol dire sviluppo, per Erice rilancio turistico.

Almeno dall’unità d’Italia il Consiglio comunale di Trapani reclamava la rettifica dei confini. più tardi ad Erice si avvertì la necessità di una generica rettifica e successivamente di liberarsi definitivamente dalle giuste richieste delle popolazioni di vecchi e nuovi agglomerati a valle. Tutto ciò si verificava solo dopo il secondo conflitto mondiale con la costituzione dei Comuni di Custunaci (1950), San Vito Lo Capo (1952), Buseto Palizzolo (1954) e Valderice (1955), nonché con l’immigrazione a Casa Santa di tanti trapanesi.  Cosicché, dopo reiterati approcci, nel 1986 sorse l’ennesimo Comitato, emblematicamente designato “Erice Capoluogo” perché lanciava l’autonomia da tutte le frazioni, con un’attività documentaria culminata in un convegno, una raccolta di firme ed una proposta legislativa inoltrata alla Regione Siciliana. Sforzi proseguiti per anni fino al Piano di Recupero della città, inficiato dalle eccessive richieste del Centro Ettore Majorana e, soprattutto, dalla corruzione del progettista arrestato in fraganza di reato. Si arenò la proposta legislativa, oltre che per l’aperta avversione dell’intero Consiglio Comunale di Erice composto esclusivamente dai rappresentanti delle popolazioni a valle, ancor più per  l’insensibilità dei deputati regionali della Provincia all’Assemblea Regionale Siciliana e per il mancato avallo della proposta legislativa da parte degli organi regionali, da cui si attendeva il provvedimento legislativo in deroga, per Erice città già con meno di 1.000 abitanti. Situazione demografica, questa, aggravatasi con il depauperamento progressivo non camuffato da iniziative turistiche sospinte da estranei che non vi dimorano e non avvertono i problemi di fondo della sopravvivenza degli effettivi residenti.

Occorre anzitutto l’abitabilità confortevole moderna e un progetto di rivalutazione dell’artigianato caratteristico, senza tralasciare il collegamento del Centro Ettore Majorana con l’Università e con nuove offerte lavorative per assolvere alle esigenze della comunicazione multimediale. E neppure va sconosciuta l’attività della Montagna del Signore, benemerita per la fruizione collettiva dei luoghi e del patrimonio ecclesiastici, ma non per  iniziative culturali coinvolgenti agenti e fruitori ecumenici ed internazionali.

Inversamente per Trapani il depauperamento del centro storico continua a dismisura a favore del territorio ericino pedemontano.

Così si inquadra l’excursus storico sullo sviluppo parallelo delle due città, Erice e Trapani. Parallelismo da sottolineare e di cui occorre tener conto per soddisfare le odierne esigenze.

Le due città fin dalle origini, a partire dalle stessa denominazione, monte e falce sul mare, richiamano la complementarità terra-mare. Il richiamo è certamente sottolineato dal mito e dall’immancabile religiosità sperimentata nei due agglomerati umani. Mito e religiosità che suffragavano il pellegrinaggio continuo dei marinai di tante provenienze al Tempio della Dea Madre del Mediterraneo. Inoltre si estrinsecavano con il mitico volo di palummeddi mari mari, nelle due feste secolari con i canti che in tutta la Sicilia furono tramandati: Katagóghia/ ritorno dal mare – 23 aprile e Anagóghia/ partenza verso il mare – 25 ottobre. Feste e culto di matrice e valenza mediterranee, oltre le due città, con Tempio a Sicca Veneria – Cirta in costa d’Africa.

‘U Munti, originariamente agglomerato abitativo appena davanti al Tempio che ospitava ierodulia/ servizio sacrale, costituito da jerodule e jerodulii che accoglievano pellegrini, ma facevano dei turni per alimentare il fuoco perenne nella rocca, visto dai marinai dal mare, e per allevare e sacrificare animali. Era la CITTA’ SACRALE, dal VI secolo avanti l’era volgare (da ora a.e.v.) attratta nell’orbita punica e cinta di mura megalitiche, oltre che con proprie monete. Se ne impadronirono nel 277 Pirro e nel 254 a.e.v. Amilcare che la spopolò a vantaggio dell’EMPORION PUNICO di Drepanum-falce/ Drepana-falci, già nucleo abitativo per pescatori e marinai. Da allora il porto naturale, appena abitato, divenne città via via fortificata con mura, porte e torri angolari, quinta  torre di vedetta su uno scoglio a mare, poi Colombaia, e altra d’ingresso a levante, poi Castello. L’ingresso ragguardevole a ponente e a metà cinta muraria, in discesa su mare e scogli, poi divenne Porta Oscura per la torre a sostegno dell’Orologio.

Con la vittoria dei romani alle Egadi nel 241 a.e.v., a parte l’incremento di Lilybeo sede del questor, Drepanum fu compresa tra le città censorie e divenne CIVITAS con abitanti divisi nei ceti equites, negotiatores, operarii. Eryx fu riguardata perché la Dea Madre de Mediterraneo Ashtaroth/ Aphrodites fu assimilata come Erycina Venus venerata con culto di Stato anche da parte del questor che saliva da Lilybeo. Contestualmente ad Eryx 17 città tributarie erano impegnate a mantenervi una guarnigione di 200 militi, di stanza nel più alto culmine della cinta muraria, da dove si recavano alla rocca-Tempio. Rocca-Tempio a tramontana-levante con consistente muraglione, a raccordare diverse sporgenze e nel prospetto interno spazi a formare una serie di nicchie, lasciate dall’arcaico costruttore, per consentire rifugio alle colombe che numerose da sempre vi nidificavano. Da lì spiccavano il volo verso il mare con sosta ideale, prima di raggiungere la costa ‘Africa, alla Torre Peleiade/ Colombaia a Trapani, ove erano simili nicchie. Ugualmente per il ritorno nella bella stagione. Anzi alla Dea Venus Erycina nel 212 a.e.v. il console Quinto Fabio Massimo dedicò a Roma nel Campodoglio intra pomerium un Tempio e il console Lucio Porcio Licinio nel 181 un altro luogo di culto, più popolare e orgiastico, extra Portam Collinam – il Colle Quirinale – agli Orti sallustiani. Nel 60 a.e.v. la moneta del console Considio Noniano attesta il Tempio di Eryx, simile ad altri a Roma, ma su una rocca circondata da mura con porta. Ovviamente uno stuolo di schiavi serviva nelle due città, per lavori diversi, tanto che si ha notizia di una rivolta rusticana organizzata dal 103 a.e.v. a Trapani da Atenione pastore, distinta dalla guerra servile sollevata precedentemente in Sicilia dal servo Euno.

Durante l’impero romano il declino del culto alla Dea sul Monte fu probabilmente scongiurato dal restauro nel Tempio, avvenuto al tempo di Tiberio. Frattanto anche  Drepanum era menzionata dai classici e inserita negli itinerari del mare, quando la classe degli honestiores godeva di proprietà fondiaria, nel contesto delle autonomie municipali all’interno della Diocesi d’Italia, dopo la riforma di Diocleziano e di Costantino.

Appunto una tenuta di terre alle falde del Monte verso oriente, estesa da un avvallamento ed una sorgente detta Jazzinu (accanto a chiesa Sant’Andrea di Bonagia) fino al fiume di Custunaci, nel III sec.d.e.v. era curata da due soprintendenti anche con l’erezione di un monumento ad Asinio Nicomaco Juliano, proconsole d’Asia e Africa, che vi sostava tra otia ac negotia negli intervalli dei suoi viaggi. Non era difficile giungervi con la  via per maritima loca, diramazione della via Valeria da Panhormus sul tracciato di una antico percorso segnato da pietre miliari con l’impronta della Dea fenicia Tanit. Juliano della famiglia senatoria dei Nicomachi vantava altri possedimenti alle falde del Monte verso occidente, accresciuti dai detriti pluviali al limite del territorio di Drepanum (odierna spiaggia fino a rione San Giuliano). I marinai di Drepanum salpavano diretti al porto più vicino, Cartagine, da dove avevano portato le statuette di Iside ed Osiride, ed ora si avvicinavano ai nuovi culti e prendevano a modello la testimonianza di uno dei 30 martiri del 23 maggio 259 d.e.v., proprio di nome Julianus. Va rimarcato che tutti i possedimenti dei Nicomachi fuori Drepanum e alle falde del Monte, indicati come terre di Nicomaco Juliano, presto rievocarono il martire di Cartagine dallo stesso nome. Al quale fu tributato culto nel centro urbano di Drepanum, poi nelle saline e alla tonnara della Punta a tramontana, invocato protector dalla gente di mare fino al XVIII secolo. Culto giunto anche ad Eryx nell’acropoli, con festa nella stessa data celebrata anche a Cartagine. Per altri versi, i traffici marittimi portarono insediamenti di colonie nelle scogliere fuori le mura, anzitutto dall’Egitto, con i culti emblematici di Antonio anacoreta e di Caterina vergine-martire, e da Costantinopoli, con il culto imperiale di Santa Sofia. E con i cristiani giunsero gli ebrei, come attestano nella città portuale l’antica moshita/sinagoga, poi chiesa di Jesus, e ad Eryx una lucerna del VI sec. d.e.v. di impronta africana.

Il periodo bizantino dal 535 in Sicilia, quando era decaduta Lilybeo, fece riacquistare importanza al porto di Drepanum, per strategie militari ed interessi patrimoniali anche della Chiesa d’Oriente. Da cui venne il nucleo di monaci basiliani fuori le mura, dove eressero monastero e la chiesa Santa Sofia (poi Badia Nuova) da cui, per la cresciuta popolazione greca servita da clero, avvenne l’elevazione della comunità a Diocesi governata da proprio episcopus, con sede nella chiesa dell’Ascensione (poi San Nicola) ed altre, tra cui Santa Maria de grecis. Si alimentavano interessi dei dignitari ecclesiastici di Ravenna, cui giungevano ancora nei secoli X e XI derrate alimentari dall’entroterra trapanese dove permangono toponimi bizantini. Di fatto l’eparchia greca rimase fino al XV sec., quando da manoscritti si apprende che per la liturgia le donne portavano pane fresco, in parte distribuito ai poveri. La città di Erice non ebbe impianti greci, anche se lungo la scarpata orientale del Monte sorsero alcuni insediamenti eremitici o monastici, fondazioni di fuggitivi dalle dominazioni dell’impero d’oriente negli anni dell’iconoclastia (752-787), dove intervennero religiosi dalla Sicilia e vi tenne l’orazione a difesa dell’iconolatria il diacono Epifanio di Catania, segno dei rapporti continui e di altri autori che prima e ancora oltre si raccordarono a Costantinopoli.

Differenti sorti subirono dagli arabi ambedue le città, Trapani con nome ormai storpiato Tarabunush o Atrabinis ed Erice genericamente indicata Gebel Hamid. La città portuale, descritta dai successivi geografi BIANCA COME COLOMBA, era piazzaforte e centro amministrativo di una convivenza plurietnico-religiosa, nonché corte di letterati. Tra cui spiccava ̔̔Abd ʹar-Raḥmân ʹibn ʹAbî ʹal ‘Abbâs (1113-1154), nato a Trapani, come attesta Michele Amari specificando il nome con al Kâtib ʹal ‘Iṭrâbaniśî / il segretario di Trapani. In più lo inserisce tra i cinque poeti arabi, negletti dai compilatori di antologie, invece degni di onore per il ruolo ricoperto alla corte di Ruggero II normanno. Il poeta trapanese e un altro, Ibn Basrun di al-Mahdiyah, lodavan il regio Mecenate, descrivendo il sontuoso palagio, le ville e il viver lieto della corte. Così nella composizione rimasta, Fawarah; invece Gebel Hamid, il condottiero che vi si spinse, era nel ricordo dell’altro poeta. A questo condottiero gli ericini opposero resistenza, seguita da ritirata degli arabi riversati alla conquista circoscritta delle terre non lontane dalla costa, come da toponimi e reperti: ritirata attribuita all’invocazione del martire Juliano, la cui venerazione era giunta da tempo da Trapani,  acclamato poi protector di una CITTA’-FORTILIZIO, le cui donne bellissime gli arabi avrebbero desiderato possedere.

Ad Erice neppure i normanni giunsero da Trapani conquistata nel 1076, ma vi stabilirono leggi e funzioni strategiche a servizio dell’organizzazione politico-amministrativa, da cui il mutamento del nome in Mons Sancti Juliani/ Monte di San Giuliano, che, tralasciando culti mitici, ratificava la religiosità latina sedimentata, al contrario della grecaglia prevalente nell’eparchia da secoli operante a Trapani. Giordano figlio di Ruggero aveva stabilito con le armi il  dominio della sua dinastia ampliando il territorio a fonte Comitis/dalla fontana del Conte (sulla vecchia via per Palermo a Fulgatore) fino al fiume di Custunaci. Solo le due città divenivano demaniali con libertà civiche, espletate in consilia, capitanio e baiulo, tra tante città baronali, mentre si edificavano nuove chiese, tra cui sul porto la chiesa.SS.Salvatore, come a Mazara epicentro religioso, o dedicate ai due santi vescovi Cataldo e Martino, simboli del connubio dei due poteri. Da allora rimasero a confronto per secoli: greci, presenti dal 535 e latini ora nuovamente impiantati a Trapani.

Con la dinastia sveva, sorretta dalla feudalità laica e da quella ecclesiastica, Trapani è  rappresentata nel Parlamento regio e gode dal 1119 dei privilegi per esenzioni da dazi, sviluppa i commerci, anche a seguito della politica africana avviata da Ruggero II e sanzionata da Federico II nel 1231. Emerse in questa trattativa africana Enrico Abbate, ricordato da Boccaccio, mentre anche le galee di Genova, Venezia e Pisa approdavano con consolati e cappelle. Nel 1269 nello scontro tra Genova e Venezia per il predominio sul porto vinsero le insegne di San Marco, combattendo ancora su terra ferma fino all’odierna Valderice, da cui restano terre attorno ad una cappella dedicata al santo a ricordo. In questa progressiva vitalità le crociate portarono altri consolati con le cappelle di Francia, Catalogna, Lucca e Firenze, sistemati ora dentro le mura. Presenti pure cavalieri Templari, Ospitalari e di San Giacomo: tutti predisposero l’accoglienza agli ordini mendicanti, francescani nei 1224 e domenicani intorno al 1230. Intanto dal porto partivano carichi, del valore di un terzo di quelli dell’intera Sicilia. Anche la signoria di Carlo d’Angiò, incoronato nel 1265, dopo lotte di successione, ne appoggiò l’espansione. Dal canto suo la città del Monte nei disordini dopo Federico II si unì ai ribelli contro Manfredi, fu teatro di lotte e saccheggiata, ma si rivalse con l’annessione di 14 casali arabi quasi abbandonati e rivendicati con falso privilegio attribuito all’imperatore svevo nel 1241, al punto da estendere notevolmente il suo territorio dalla fontana del Conte nel tenimento di Raghalbes fino al fiume che discende da Calatafimi e dalla Punta di San Vito e ancora fino al fiume di Custunaci. In questo modo Erice godeva di condizioni più agevoli di sussistenza, dopo il notevole incremento territoriale in cui, per costituzione federiciana del 1245, salariati e censuari, sciolti da soggezioni personali, conducevano fondi in proprio, accrescendo l’aristocrazia terriera. Realtà sociale modificata, questa, che aveva qualificato “mala signoria” la reggenza degli Angiò,  fino allo scoppio del Vespro il lunedì di Pasqua del 1282, come in Sicilia.

L’opposizione cacciò i francesi e puntò sulla dinasta d’Aragona che tentava sbocchi nel Mediterraneo. Lì Pietro aveva sposato Costanza figlia di Manfredi ed accettò il regno, sbarcando a Trapani il 30 agosto dello stesso anno 1282. Della guerra contro gli Angiò le popolazioni subirono i gravami. Tuttavia nasceva un nuovo feudalesimo, dominato, però, dai banchieri della Catalogna, di cui si avvalse il successore re Giacomo che, per l’assetto funzionale della CITTA’ ARAGONESE in rapporto alle ambizioni mediterranee, nel 1286 ne dispose l’aggrandimento  verso ponente e verso tramontana. Anche l’UNIVERSITAS TERRAE MONTIS SANTI JULIANI/ COMPLESSO DELLE TERRE DI MONTE SAN GIULIANO sperimentava simile necessità per l’aumento della popolazione, al punto da essere tassata la metà di Trapani e più di Lilybeo. Si erano sviluppati l’agricoltura e l’artigianato, ma anche il commercio con stranieri, non senza l’apporto della comunità ebraica che vantava alcune professioni in esclusiva. Con Federico d’Aragona re la guerra angioina non impedì a Trapani il consolidamento del porto a mezzogiorno, quantomeno come scalo internazionale, su cui si riversarono nel 1315 i privilegi un tempo goduti da Messina, ora che i traffici assumevano la direzione verso Barcellona. Erano giunti monaci dal Monte Karmel nel 1244 con una Madonna dipinta su Tavola e nel 1250 ebbero dagli Abbati terre con senia e pozzo, accanto a ruderi lasciati da calogeri/ monaci greci a Santa Caterina all’arena. Il re aragonese concesse loro nel 1302 la fiera franca, esente da tasse, derivata dalle arcaiche feste del Monte al 23 aprile, che nel 1315 dallo stesso Federico d’Aragona era spostata al 15 agosto, per l’accresciuta devozione alla Madonna, tanto che i carmelitani presto ne commissionarono a Pisa una immagine più duratura, di finissimo marmo, per la nuova chiesa completata nel 1332. Anche al Monte accedeva Federico d’Aragona re, dopo aver innalzato nel 1296 una torre  di vedetta fuori le mura accanto ad una antica chiesa Santa Maria; vi dimorò nel 1315 durante le trattative di pace con gli Angiò, quando si procedeva al prolungamento della cinta muraria che ora dal culmine della città (odierna piazza Loggia) degradava a ponente con Porta Trapani e inglobava la torre e la chiesa ampliata, nel 1339 intesa Matrice.

Emergevano nelle due città i nobili e alcune famiglie insediatisi dalla Spagna, ora che la legge del 1296 favoriva l’alienazione dei feudi senza restrizioni e la giurisdizione penale era ceduta ai conti più anziani. Forte egemonia acquisiva la famiglia degli Abbati, da cui uscirà Alberto carmelitano, che accumulava onori e beni, primeggiando tra la nuova nobiltà mercantile. Allora le famiglie Chiaramonte e Ventimiglia si contrapposero ed ottennero possedimenti dentro e fuori le due città, così potenti da condizionare Federico il Semplice re dal 1342 fino alla morte nel 1377. Questo clima favoriva tensioni e imposizioni di tributi nello scambio tra le due città, Trapani protesa sul mare e il Monte florido per agricoltura e pastorizia. Tramontati gli sforzi dal re compiuti per la pacificazione tra le fazioni, prevalsero da quell’anno quattro vicari (1377-1393) che si contesero l’intera Sicilia. Intanto nel 1386 sbarcavano a Trapani la regina Maria e lo sposo Martino, dopo trattative e sottomissioni da parte dei baroni del regno. Ma solo nel 1392 il falso privilegio del 1241 sull’estensione del territorio di Erice fu ratificato da quella nuova corte aragonese. Ancora nel 1392, poi, tornati a Trapani, i regnanti elargirono privilegi ai carmelitani ed alla nuova fondazione del francescani nel 1364 al Monte. Le concessioni alle due fiorenti comunità ebraiche, invece, suscitarono scambievoli risentimenti che montarono nell’organizzazione di una spedizione punitiva di ebrei e non, trapanesi uniti a venturieri e gregari ribelli sbarcati da Barcellona e Girona: la spedizione sfociò in un eccidio di ebrei nelle case, nel 1393 ripetuta e perpetrata perfino nella sinagoga. Eccidio-delitto di lesa maestà contro lo Stato, così esecrato dalla cancelleria reale che insorse contro i ribelli con condanne e sequestro dei beni. Perdono regale e pacificazione vennero nel 1397, ma restarono le conseguenze dell’abbandono del Monte da parte di nuclei di ebrei diretti in altre città. Solo nel 1407 la città del Monte ottenne, ambasciatori i sindaci fratelli Francesco Morano e Bernardo detto de militari, divenuto arciprete, di godere dei privilegi di Trapani, ora che l’economia agro-pastorale si era distanziata da quella marinara ed esigeva le stesse agevolazioni, anche per non continuare a subire dazi e vessazioni nel commercio dei prodotti. Occorreva che gli amministratori del Monte frenassero l’usurpazione di terre registrata poi nel 1457: si configurava così la CITTA’DEI BURGISI RICCHI, tra i quali tanto avevano accumulato terre della comunità o si erano rifiutati di pagare affitti: questa la situazione che sconvolse l’orinamento sociale.

In questo contesto avvenne l’apertura verso Trapani, sia per trasferimento di ericini sia per la fornitura di prodotti della terra alla vicina città marinara. Proprio questa autonomia ebbe suggello di risvolti religiosi, da quando da Erice non affluirono più pellegrini a onorare l’immagine marmorea dell’Annunziata, poi chiamata universalmente Madonna di Trapani, anche con copie diffuse, come quella superstite nella chiesa Matrice, consegnata, dopo la copia commissionata rimasta a Palermo, da altra copia, opera Domenico Gagini nel 1469. Al  1422, infatti, risalgono i primi legati a Santa Maria de Custunachio, immagine dipinta a muro in una cappella rupestre a Bonagia, mentre dal 1339 era stata attestata anche da parte dei muntisi la devozione prevalente a Santa Maria Nunciata de Trapano. Inoltre a  Monte da Trapani nel 1423 si insediavano i carmelitani e nel 1487 i domenicani: anche questo segno di autonomia.

D‘altra parte Trapani, dopo la frattura con l’Africa e la chiusura dei consolati, a seguito della politica di Alfonso V d’Aragona, seppure da tempo costituita da etnie composite, subiva l’arretramento dei commerci soprattutto con il mondo islamico. L’antica convivenza con gli ebrei si era incrinata, relegandoli nel ghetto, senza essere avulsi dalla vita cittadina, quando alcuni, come i Sala, si erano arricchiti con prestazioni varie: l’espulsione, disposta nel 1492 da Ferdinando e Isabella d’Aragona, fu inutilmente scongiurata per le perdite di artigiani e capitali che avrebbe subito la città. Al nuovo patriziato aragonese ed ai mercanti, intanto, si era offerta la cappella di San Giorgio dei genovesi ora ampliata in chiesa di San Lorenzo, in contrasto con le comunità popolari attorno alla chiesa normanna SS.Salvatore, dal 1387 dedicata a San Pietro e l’altra bizantina superstite, poi sovrastata dalla cappella San Nicola. Sorgevano nell’ingrandimento disposto nel 1286 altri insediamenti, dopo la bonifica di tre scogli-isolette dove da tempo alcuni nobili tenevano villette sopaelevate, da cui l’appellativo Palazzo in opposizione a Casalicchio, l’originario nucleo di case dimesse. Ormai emergevano nuove chiese, tra conventi e dimore di nobili: tutti accumulavano rendite e beni, mentre poggiavano sulla massiccia presenza di schiavi e servitori. Lontana dall’episcopato di Mazara, Trapani sviluppava una cultura laica, prevalentemente giuridica e medica, di impronta pragmatica con sporadici arricchimenti nelle arti figurative e nelle manifatture minori. E invece attivi erano la pirateria ed il mercato degli schiavi, tanto che per difesa contro il pericolo turco e per assecondare mire espansionistiche dell’impero spagnolo, Trapani fu trasformata da piazzaforte in avamposto militare con rinnovata cinta muraria, sicché da Carlo V in poi assolse al compito di CHIAVE DEL REGNO con il titolo di Invictissima. La vitalità cittadina a Trapani erompeva, nel frattempo, con le tonnare, con le saline, con la pesca e la lavorazione del corallo, dove si distinguevano tecnici, inventori, bottegai e mercanti. Da qui venne il rinnovamento anche religioso non dall’accresciuto culto alla Madonna e dai trasporti della sacra immagine dal santuario a partire dal 1527. Piuttosto influì la predicazione di fra Jacopo da Gubbio, sbarcato con l’imperatore dopo la battaglia di Tunisi nel 1535 e seguito dai suoi scalzi a Trapani e a Martogna sulla strada al Monte, da dove scendevano già nella peste del 1574 per accudire infermi nella chiesa San Rocco. Ad Erice, inoltre, ai primi legati a Santa Maria de Custunachio in contrada Linciasella nel 1422, immagine dipinta a muro in una cappella rupestre a Bonagia,  dal 1471 si traeva copia della Madonna dall’affresco e si incrementava il culto, anche se dal 1435 esercitato periodicamente da un prete di Trapani che lo diffuse nella zona Palazzo della città marinara (dal 1520 immagine nell’odierna via Custunaci).

Da tempo si era rotto nelle due città l’equilibrio sociale tra gentiluomini, burgisi e artigiani, degenerando in scontri tra famiglie e in abusi dei privilegiati a scapito delle classi più umili. A Trapani rimasero famosi i dileggi tra duellanti e vere guerriglie tra canali e mascari, come dalla cronistoria di quanto avvenne intorno al Carnevale del 1519. Le due fazioni, distinte tra abitanti di Casalicchio e di Palazzo, guidati dai Sanclemente e dai Fardella procedevano a conquistare i gradini d’a Loggia. Volavano ingiurie, tra cui mascarati ai Fardella per la foggia di Carnevale indossata; e seguiva, dopo lanci di frutta marcia, erbe, fango, pietre e perfino i canali dai tetti, da cui rimase l’appellativo ai Sanclemente. Si passava a pugni e bastonate, zuffe e rincorse nei due quartieri, ferite e danni alle abitazioni. Emblematico l’incendio a danno dei Fardella, fino a Xitta e oltre, alla loro torre, da cui l’appellativo rimasto Torrearsa. Le donne dalle finestre versavano acqua in risposta alle infamie offensive e ai versacci licenziosi. Neppure religiosi e magistrati della città riuscivano a dominare il tumulto ripetuto ad ogni serata. Ma l’indomani tutti concordi a passeggiare ‘a Loggia. Poi il 1° giorno di Quaresima tutto era finito e si riprendeva come se quei giorni fossero stati un divertimento.

Nella città del Monte le lotte civili insanguinarono le strade, in particolare ‘a Loggia. Tra tante guerriglie urbane con tregue in tanti decenni, gli storici rievocano nei dettagli quella occorsa sotto il viceré Ettore Pignatelli (1517-1535), contemporanea alle lotte intestine a Trapani. Due le fazioni chhe aggregavano le famiglie facoltose: Francesco Oddo, Cola Guarnotta e Cola Antonio Lupino contro i magnifici/ magistrati cittadini Giovanni Giacomo e Antonio Juffré e Antonino Burgarella. Non sempre, tuttavia, le lotte trovarono tregua, per l’odio sociale diffuso, tanto che la pacificazione tra le fazioni fu suggellata nelle due città da un atto notarile di pace il 15 dicembre 1561 e dall’arrivo della immagine marmorea, copia della diffusa Madonna di Trapani, con titolo inusuale di Santa Maria della Pace, appositamente commissionata in duplice copia a Giacomo Gagini. Due immagini similari, solennemente collocata nella chiesa di San Pietro sia ad Erice che a Trapani. In particolare quella di Erice venerata come patrona, con la partecipazione degli amministratori cittadini, fino al 1616, come risulta da una lettera di conferma del vescovo di Mazara Marco La Cava. Ormai i burgisi ricchi si erano impadroniti anche delle manifestazioni devozionali e si affermarono ancora nel 1568, con il primo dei trasporti ad Erice della Tavola, tratta dall’affresco nella cappella rupestre già fiorente a Bonagia, ad opera di tale Giovanni della bottega di Antonello da Messina, raffigurante una Madonna del latte con tre spighe e il  Bambino, sullo sfondo del paesaggio del mare. Da allora l’impegno a costruire su una collina un santuario a forma di fortezza per le incursioni barbaresche, santuario ultimato nel 1575, quando la città si era riscattata nel 1555 dalla vendita ad una baronia e godeva del titolo di Excelsa civitas. Di lì a poco si notarono amanuensi,  ricercatori e custudi delle memorie patrie, nonché storiografi: tutti contribuirono, con burgisi e massari, ad animare il secondo riscatto della città nel 1645, per l’autonomia, per la cura degli istituti di beneficenza e per la riedificazione delle chiese e dei pochi palazzi in stile barocco semplificato.

A Trapani l’arrivo di tanti ordini religiosi e soprattutto dei gesuiti nel 1580, soggetti di cospicue donazioni e del monopolio dell’istruzione, coincise con la primazia civile dei Fardella. Uno dei quali, Placido Fardella, fondò Paceco nel 1607-1609, dopo la colonizzazione di Xitta nel 1517 da parte di altro congiunto. Ne trassero ingenti benefici, nonostante la crisi frumentaria e l’imposizione delle gabelle regie: emergeva, così, la ricchezza rampante di fasce privilegiate della nobiltà. Non mancarono turbolenze delle popolazioni vessate, anche per la speculazione di alcuni possidenti, che prepararono la rivolta antispagnola del 1672-1673 repressa con l’impiccagione di nove artigiani e del loro avvocato Gerolamo Fardella. Seguì il disterramento del ramo Moxharta e la fuga di alcuni di loro, tra cui il filosofo fra Michel Angelo, poi maestro di filosofia e teologia a Padova e Venezia, dopo le permanenza in tante città d’Europa ed i contatti prolungati con il filosofo protestante tedesco Leibniz.

Ormai penetrava anche a Trapani la rivoluzione epocale della stampa, emblematica la stamperia del senato nel 1680, e timidamente i prodromi dell’illuminismo. Erano preceduti e accompagnati dal 1620 dall’inquadramento delle maestranze nella commissione e gestione dei gruppi sacri della Passione, i Misteri/ Mestieri, in una processione-rievocazione, ogni Venerdì Santo, ispirata alla spiritualità della Riforma cattolica. Accademia e rinnovamento segnarono letteratura e arti, in cui si distinsero Gian Biagio Amico, Leonardo Ximenes, Andrea Carrera, Domenico La Bruna e tanti meno celebrati, fino a Marco Calvino. Tanta fioritura fu conseguenza dell’eco pervenuto dall’Europa, tramite scambi commerciali e personali. Tra tante donne portate alla vita religiosa, alcune in penitenza nei loro palazzi nobiliari, spicca per versalitità nelle lettere e laicità el sentire, pur tra la praatica comune della religiosità cristiana, Rosa Omodei, che aprì il suo palazzo ai letterati, tre cui il prete Giuseppe De Luca, traduttore di scrittori di Francia e Gran Bretagna. Donna singolare, esaltata da Nicolò Burgio che la conobbe nubile e anziana e a lei indirizzò la sua Lettera ad una dama di Livorno.

A tale rinnovamento rimase pressoché estranea la città del Monte, strutturata sul possesso dei feudi e delle parecchiate/ appezzamenti di terre lavorative, sotto l’amministrazione di tante famiglie ormai non più residenti, spesso esponenti dell’alta borghesia trapanese o palermitana. Solo dal 1789 i principi diffusi dall’illuminismo segnarono la censuazione delle terre disposta dal governo borbonico, da cui sorsero i borghi di San Marco, Custunaci e San Vito. Ma la strada carrozzabile per Trapani dalla discesa di Difali fu completata solo nel 1845 e successivamente fu potenziata la vecchia viabilità a valle. Da allora nei borghi si alimentava la contrapposizione allo spirito di conservazione dei notabili del Monte e si sviluppava l’esigenza sociale a partire dalla partecipazione ai moti del 1848 fino alla cospirazione di Bonagia del 1859 ed al nucleo di 870 picciotti portati da Giuseppe Coppola a Garibaldi.

L’elevazione di Trapani a Capovalle nel 1817 rispondeva ai vantaggi dalla città acquisiti e non più rappresentati dentro gli arcaici privilegi. Con il nuovo ordinamento amministrativo la monarchia borbonica intendeva controllare la vita locale. Frutto del riformismo fu pure l’erezione a Diocesi nel 1844 che creava più stretti rapporti tra  potere civile e gestione ecclesiastica. Con l’insediamento, poi, della carboneria nel 1820, confusa con il massonismo dei Liberi Muratori e con la concomitante circolazione delle idee liberali, si preparava il 1848 dove risuonò la rivendicazione dell’autonomia siciliana in prospettiva di una federazione di regioni. Vi erano a capo i Fardella e la borghesia in espansione, di certo non sfiorati dalla denuncia da parte della Curia vescovile contro i novatori. Finalmente gli esaltati liberali con gli esuli ed i cospiratori si unirono alla conquista di Garibaldi che riuscì a trascinare abitanti delle città e delle campagne, ma anche il clero di ogni estrazione. A Trapani, in particolare, scoppiò il conflitto tra il vescovo, dal 1844 filoborbonico, e i cattolici, non solo liberali quanto veri precursori delle rivendicazioni del modernismo del nuovo secolo, attorno al prete Vito Pappalardo, fautore della libertà di coscienza e di una Chiesa conciliare e non verticistica. A lui si unirono preti e laici, tra cui il letterato Alberto Buscaino Campo, sostenitore di una Chiesa senza dogmi e di un’esegesi biblica ispirata alla razionalità. La lotta dei due corifei, impostasi nell’intera Sicilia, continuò contro il potere temporale e per l’educazione laica e patriottica delle nuove generazioni.

Intanto a Trapani avveniva l’abbattimento dei bastioni  dal 1862 e l’espansione verso il Monte si misurava nel 1868-69 con il Piano Talotti e con il risanamento della palude Cepea. Era l’anno in cui al Monte il domenicano Giuseppe Castronovo, storico e conservatore, proponeva il trasferimento amministrativo, in contrada Ragosia, a valle, dove un nuovo assetto urbano avrebbe supportato le esigenze della popolazione ormai cresciuta. Negli anni a seguire la città del Monte sperimentò la presenza del mecenate Agostino Pepoli che accolse studiosi di tante nazioni, cinse di verde le mura rimaste pressoché intatte e realizzò, in anteprima, la CITTA’ GIARDINO. A Trapani sorgevano i palazzi pubblici e quelli della nuova borghesia affluita dal Monte e dall’entroterra. Contestualmente alla distinzione tra città antica ed i nuovi insediamenti, nel 1880  si apriva la villa comunale, si incrementavano i traffici portuali e le tonnare, si impiantavano la ferrovia e le industrie della pastificazione, della salagione e dei vini, ma anche della filanda del cotone nel 1836 e della prima segheria a vapore nel 1898. Tra l’estensione dell’istruzione al popolo e il solidarismo operaio si presentava come progressista Nunzio Nasi (1850-1935) che riuscì a compattare aspirazioni antigovernative all’indomani dei Fasci dei Lavoratori (1892-1894). Con Francesco La Grassa la città scopriva la belle époque in tanti esemplari palazzi e ville: si affermava la CITTA’ LIBERTY, dove nel 1906 si aprì il Museo Pepoli.

Con il primo dopoguerra si accelerò lo spopolamento del Monte in corrispondenza del  trasferimento a valle e nella zona fora porta di Trapani, nonché di Borgo Annunziata, una zona scelta che mediava tra città di origine e capoluogo. Le agitazioni agrarie contro i latifondisti prepararono l’adesione al fascismo prevalentemente di questi ultimi, mentre al movimento socialista delle campagne toccavano le disillusioni e gli assassini degli esponenti, sia a Paceco che a Paparella-San Marco. Le due città apparivano ciascuna ormai come CITTA’ SPEZZATA: il Monte per la crescita delle contrade e l’incremento verso la zona pedemontana e Trapani per l’espansione sulla via denominata Fardella, che avviava il distacco dall’antico centro storico. Ancor più dopo le distruzioni nella seconda guerra mondiale del quartiere Casalicchio e marginalmente anche in zona Palazzo a Trapani e la costruzione di abitazioni e di opere pubbliche nelle nuove zone, mentre la città del Monte era smembrata dall’erezione di quattro Comuni a valle. Anzi il Monte scopriva la sua inconsistenza demografica e puntava allo slancio turistico con Antonino De Stefano (1880-1964) sindaco dal 1956 al 1960: convegni internazionali e pianificazione urbanistica ed ambientale, nascita del Centro Ettore Majorana. Trapani era contemporaneamente segnata da crolli nel 1954 nel 1975 e da alluvioni, oltre che dal degrado del centro storico: tutte spinte per emigrare a Casa Santa.

La situazione attuale, che registra l’ulteriore depauperamento delle due città, non si può limitare alla costatazione: invece l’excursus storico ha inteso indicare saldezza di tradizioni in ciascuna e, contestualmente, complementarità da potenziare.

In definitiva Erice rappresenta tradizionalmente la CITTA’ SACRALE mitica per il culto alla Dea Madre del Mediterraneo, cinta da mura sotto l’influsso dei Punici e amministrata autonomamente; con i Romani assurta a CITTA’ POLITICO-CULTUALE; rimasta solo FORTILIZIO talvolta abbandonata e non raggiunta dalla conquista araba, ma ricompattata dai normanni per l’emergente impianto cristiano e per l’estensione denominata UNIVERSITAS TERRAE MONTIS SANTI JULIANI; nel periodo aragonese consolidata in CITTA’ DEI BURGISI RICCHI  rinchiusa nella inaccessibilità alle correnti dell’illuminismo, a parte la censuazione delle terre nel 1789 con il conseguente l’impianto dei borghi a valle. Dove si insinuarono le idee liberali moerate, da cui nel 1869 il progetto del trasferimento dell’amministrazione civica a Ragosia, senza riscontri. Al contrario la sistemazione in CITTA’ GIARDINO lanciò il suo ruolo imperituro di città della sciienza e della pace. Dopo le due guerre lo smembramento nei Comuni a valle e  l’incremento di Casa Santa.

Tradizionalmente Trapani rappresenta l’EMPORION PUNICO potenziato nei secoli; dai Romani assurta a CIVITAS e aperta al cristianesimo africano. Agli arabi è apparsa BIANCA COME COLOMBA, conquistata poi dai normanni e da Ruggero munita di ordinamenti e latinizzata dopo essere stata greco-bizantina dal 535, ancor più protesa ai traffici con  repubbliche marinare e città signorili, scelta da Templari e Ospitalari, nonché dai Conolati delle nazioni. Dalla dinastia sveva arricchita di privilegi e retta dagli Abbati, da cui fra Alberto associato ai carmelitani giunti dall’Oriente e nel 1250 insediati con una Madonna su tavola e al 1360 con l’immagine marmorea commissionata e giunta da Pisa, una raffigurazione emblematica ricopiata e diffusa anche fuori Sicilia. Insorta nel Vespro del 1282 contro gli Angiò e divenuta CITTA’ ARAGONESE con l’aggrandimento disposto da re Giacomo, finché, riscattata da turbolenze durante i quattro vicari, accolse la regina Maria e re Martino nel 1386 e fu governata da nuovo patriziato, dopo  la chiusura dei consolati e la frattura con l’Africa islamica. Necessitava di nuove fortificazioni  e, designata  CHIAVE DEL REGNO,  fu ammaliata dalla predicazione di fra Giacomo da Gubbio con i suoi scalzi e più ancora, dai  gesuiti protesi a guidare le maestranze verso la religiosità della Riforma cattolica, da cui I Misteri. Non mancarono rivolte popolari per carestie, segnatamente quella del 1672-73. La ripresa venne sotto gli influssi dell’illuminismo con rappresentanti nelle lettere e nelle arti, fino a Capovalle e diocesi e poi all’unificazione italiana. CITTA’ LIBERTY fu la nuova dimensione fino alla prima guerra mondiale, cui seguì la CITTA’ SPEZZATA con l’estendersi nella via Fardella e dopo la seconda guerra fino ai crolli ed alle alluvioni, da cui l’immigrazione a Casa Santa e il depauperamento del centro storico.

Ora la complementarità naturalistica e storica potrà incrementarle scambievolmente, se un unico progetto non ne sminuirà le risorse tradizionali, nell’unica: denominazione che ne accomuna le sorti, pur differenziate, TRAPANI-ERICE:

TRAPANI decentrata in QUARTIERI: Centro storico, “Fora Porta”, Pizzolungo, Trentapiedi, San Giuliano, Casa Santa, Fontanelle, Regalbesi, Misiligiafari, Xitta; Federazione con ERICE CAPOLUOGO e proprio bilancio vincolato ad esenzioni per frenarne il degrado.

Salvatore Corso

L’almanacco di oggi mercoledì 24 aprile 2024

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