Dottore, ma c’ho l’ansia?

Quando l'ansia diventa patologica? Un nuovo articolo del blog "Tienilo inMente" del dottor Giuseppe Scuderi, psicologo clinico e digitale

«Dottore ma c’ho l’ansia?»

Una delle richieste che più spesso ricorre negli studi di ogni psicologo è probabilmente: “Dottore, mi aiuti a eliminare l’ansia, non voglio più averla”.  Partirei, quindi, col dire che l’ansia è un emozione normale esattamente come le altre, come la paura, la gioia, il senso di colpa, etc. Ci serve come emozione, perché ci prepara a una minaccia incombente, che non riusciamo ancora a vedere. Pensate, ad esempio, dai tempi della preistoria, di fronte a un temporale, a un cielo molto grigio, al buio della notte quanto questa emozione ci ha salvato dai predatori, facendoci capire come una sentinella che era il caso di ripararsi, cercare un rifugio. A differenza della paura che, invece, proviamo quando il pericolo o la minaccia è ben visibile di fronte a noi (come un orso che ci sta per attaccare), l’ansia ci serve per prevedere e prepararci per il futuro. Ma… allora…

Quando l’ansia diventa patologica? 

Noi psicologi solitamente definiamo l’ansia patologica quando:

  • Si manifesta frequentemente e perdura nel tempo.
  • Si manifesta in maniera eccessiva e sproporzionata rispetto alla situazione.
  • Si manifesta in momenti non appropriati.
  • Si manifesta con un’intensità tale da non consentire alla persona di svolgere le normali attività.

Tutto questo, però, in sé e per sé ci aiuta poco perché non ci dice nulla del mondo dell’ansioso, e di come quest’ultimo funzioni. Prendiamo, ad esempio, la storia inventata di M., una giovane signora di appena 50 anni con un figlio alle scuole elementari. M., ci dice:

“Quando sono in ansia non riesco più a fermare i miei pensieri, Dottore… è come se fossi dentro una centrifuga, mi sento assaltata, con tutti questi pensieri e queste immagini che continuano ad affacciarsi alla mente con gli scenari più catastrofici possibili“.

Ricordate la minaccia incombente di poco fa? Beh, eccoci qui. M., ci sta descrivendo esattamente questo: gli scenari più catastrofici possibili. La minaccia. Sembrerà strano all’inizio, ma le emozioni sono canalizzate direttamente dai nostri processi di pensiero e dalle valutazioni che facciamo degli eventi. Che detto più semplicemente, vuol dire che è ciò che pensiamo e come valutiamo i fatti che ci accadono, a farci provare delle emozioni, più o meno forti. Andiamo avanti ancora un po’:

M., è una giovane donna di 50 anni. Se pensa a suo figlio, che in questi giorni sta rientrando a scuola, non può fare a meno di immaginarlo piangere, disperarsi per la sua assenza. Lo immagina picchiato dai suoi compagni, con maestre che non lo difendono. Lo immagina a non mangiare a pranzo, o magari, a mangiare da solo in un angolo. La realtà è che però suo figlio è un bambino socievole che non vedeva l’ora di andare a scuola e conoscere i suoi nuovi compagnetti.

Cosa sta succedendo a M.,? Lo chiedo perché magari passerà tutta la giornata con questi pensieri, avrà molta ansia, non riuscirà a rilassarsi nelle pause pranzo o nei momenti di sosta dal lavoro. M., sta utilizzando uno dei meccanismi di mantenimento più forti per l’ansia, ovvero il rimuginìo.

Il rimuginìo

M., quando rimugina, si sente poco capace di controllare gli eventi incerti. Nel suo caso, M., vive come una sua precisa responsabilità il fatto che suo figlio sia SEMPRE felice, quindi, in questo caso ideale magari si andrà a lavorare proprio sull’idea di vissuto del senso responsabilità. Il rimuginìo come strumento mentale rinforza l’ansia perché serve per tentare di anticipare e controllare il possibile verificarsi di un evento futuro temuto, di per sé, dunque, come meccanismo non è per forza patologico, anzi! Dipende la misura in cui lo si utilizza. Ovviamente suo figlio a scuola si sarà divertito, ed M., penserà che ciò è avvenuto per tutti gli avvisi e le raccomandazioni che in preda alla ruminazione avrà fatto a suo figlio. La verità, probabilmente, è che suo figlio si sarà divertito… nonostante le tre mila raccomandazioni e avvisi che sua madre all’entrata gli avrà fatto.

Il rimuginio è considerato uno stile di pensiero ripetitivo, analitico, strettamente legato all’ansia, procedurale (cioè privo di dettagli e seguito) in grado di creare un dialogo interno fatto di focalizzazione visiva su scenari ansiogeni. Il rimuginio è costituito principalmente dalla ripetitività del pensiero e di conseguenza dalla sua intrusività e incontrollabilità. Viene definito un meccanismo di mantenimento proprio perché mantiene l’ansia, la aumenta in molti casi e la rinforza.

L’ansia a livello fisico e mentale 

Descritto uno dei principali meccanismi di mantenimento dell’ansia, direi che è il caso di spostare la nostra attenzione per capire quando si è in ansia cosa effettivamente si prova e/o cosa si pensa e cosa accade al nostro corpo nel frattempo. L’ansia è anche:

  • preoccuparsi di ogni parola quando si parla con gli altri
  • non voler MAI apparire stupidi
  • criticarsi ogni momento
  • pensare di dover essere perfetti
  • pensare che gli altri ci stiano giudicando continuamente
  • pensare che gli altri ci guardino continuamente
  • pensare di dover evitare a tutti i costi di fare brutte figure

a livello fisico l’ansia quando eccessiva può manifestarsi come:

  • paura d’impazzire o morire da un momento all’altro (vedi: attacchi di panico)
  • sudorazione eccessiva
  • battito cardiaco accelerato
  • dispnea, mancanza di fiato o respirazione aumentata
  • tremori, nodo in gola, dolori allo stomaco o fitte
  • vista offuscata, sensazione di essere fuori dal proprio corpo

Il mondo di chi soffre d’ansia è un mondo in cui ogni cambiamento può essere una fonte di pericolo imminente o una minaccia, è un mondo che va tenuto immobile e statico perché ogni cambiamento può essere un pericolo o una minaccia. Il completo opposto del nostro detto siciliano “ogni cambiamento è giuvamento!”. All’esterno è un mondo che può essere dominato dalla paura del giudizio e quindi, dalla vergogna e/o dal senso di colpa verso gli altri o verso di sé. Si pensi, ad esempio, all’agorafobia e agli attacchi di panico, che instaurano il così detto circuito della paura. Esempio:

“Sto uscendo di casa, potrebbe accadermi qualcosa di brutto” > emozione provata: ansia (valuto l’uscita di casa come un evento potenzialmente pericoloso) >

“Sento il battito cardiaco accelerato e le mani che sudano, forse sto per svenire.” > emozione provata: ansia (valuto la mia precedente attivazione corporea e fisica come un prodromo di un segnale di svenimento, quindi, l’ansia aumenta esponenzialmente) >

“Lo sapevo che non dovevo uscire di casa /guidare/ prendere l’aereo etc., ogni volta è sempre così. Non ci riesco proprio, devo fare in modo di tornare a casa il più in fretta possibile prima che gli altri si accorgano che sto per svenire. Chissà che potrebbero pensare, che sono pazzo” > emozione provata: vergogna e ansia, date dalla minaccia incombente del giudizio altrui, quindi, l’ansia aumenta ancora di più!

Se ci si fa caso, in questo esempio, ogni conclusione o pensiero a cui si giunge è perfettamente razionale! Nel senso che è logico e lineare, anche se non corretta dal punto di vista contenutistico, chiunque di noi se dal nulla cominciasse a sentire il proprio battito cardiaco molto accelerato senza alcun motivo si spaventerebbe e penserebbe di stare per svenire o chissà che altro! Questo avviene perché molte volte le persone non sono coscienti del tutto della propria attività mentale, delle valutazioni che fanno degli eventi e dei propri pensieri automatici, ed è per questo che è molto utile nel caso si soffrisse d’ansia patologica rivolgersi ad uno psicologo.

Tenetelo #inMente!

[Per il prossimo articolo vorreste un approfondimento ulteriore sull’ansia oppure un approfondimento sulle fobie come la paura di volare o di guidare e gli attacchi di panico? Fatemelo sapere nei commenti! A presto!]

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