Dottore, ma c’ho davvero bisogno dello pissicologo?

Quando andare dallo “pissicologo”? come diciamo noi in Sicilia

Purtroppo, quando si prende tale decisione, la convivenza con le proprie sofferenze ha già condizionato enormemente la propria qualità di vita. Questo è un gravissimo dramma per la salute mentale oggi. Immaginate anche solo per un momento di avere una semplice infezione. Solitamente per una semplice infezione si fa passare del tempo per fare in modo che gli anticorpi facciano il loro corso. Se ciò non avviene, allora, con buona probabilità dopo un po’ di tempo andreste dal vostro medico di base per farvi prescrivere un antibiotico. Se saltiamo quest’ultimo passaggio, e lasciamo correre l’infezione, che succede? Probabilmente da problema facilmente risolvibile dal punto di vista medico, sarà andato incontro a cronicizzazione, alterazione di altri parametri, infezioni su altri organi, debilitazione generale, e così via.

Lo stesso, purtroppo, accade con la salute mentale. Un semplice attacco di panico può diventare un disturbo d’attacchi di panico. Può cronicizzarsi, può distruggere la nostra qualità di vita giorno per giorno. Passando degli anni questo altererà i vostri meccanismi di gestione dell’ansia a favore di meccanismi errati come l’evitamento. E così l’intervento psicologico o psicoterapeutico finiscono solo col divenire più complessi, e dunque, purtroppo, più lunghi.

Quando si dovrebbe andare dallo psicologo? 

Le tre variabili da tenere a mente per avere un attimo il punto della situazione sono: pervasività, patologia e persistenza. La regola delle tre P, noi diciamo in psicologia. Pervasività fa riferimento al fatto che i disturbi intacchino più aree significative della nostra vita, alterandole irrimediabilmente (lavoro, famiglia, amici, relazioni amorose). Se ciò accade, allora, quel disturbo viene definito pervasivo ed è un campanello d’allarme. L’altra P fa riferimento alla patologia: che un disturbo sia patologico è ricorsivo – tautologico (se è un disturbo, è patologico per definizione). Ma quando un problema può essere definito a tutti gli effetti patologico? Senza avventurarci in diverse definizioni accademiche, possiamo definire:

“un disturbo mentale come una sindrome caratterizzata da un’alterazione clinicamente significativa della sfera cognitiva, della regolazione delle emozioni o del comportamento di un individuo, che riflette una disfunzione nei processi psicologici, biologici o evolutivi che sottendono il funzionamento mentale. I disturbi mentali sono solitamente associati a un livello significativo di disagio o disabilità in ambito sociale, lavorativo o in altre aree importanti”.

(DSM-5, p. 22)

Infine, abbiamo l’ultima P: la persistenza. Questo criterio fa riferimento al fatto che un disturbo per essere considerato tale, ha un insorgenza nella storia di vita della persona poco recente: solitamente, ad esempio, un disturbo d’attacchi di panico si è presentato in adolescenza come una crisi ansiosa molto acuta per situazioni non attivanti, da bambini come ansia e difficoltà a lasciare andare la propria madre a scuola il primo giorno, da adulti come una attivazione ansiosa eccessiva in un contesto assolutamente tranquillo. Quello su cui si pone l’accento è proprio il fatto che ci siano sempre dei pregressi nella propria storia di vita prima che effettivamente il disturbo si cronicizzi.

A che serve lo psicologo?
  • Per rendersi consapevoli dei propri meccanismi di funzionamento
  • Per iniziare “ad agire” e non semplicemente “a reagire” agli eventi
  • Per scoprire i propri punti di forza e di debolezza
  • Per essere in grado di gestire le proprie relazioni senza farsi o fare del male
  • Per curarsi o guarire da un disturbo che ci causa sofferenza
  • Per affrontare un periodo molto difficile
  • Per gestire una separazione dolorosa
  • Per un supporto psicologico o una valutazione diagnostica
  • Per affrontare una situazione lavorativa tossica

e per molti altri motivi magari. Lo psicologo è una figura sanitaria molto importante con cui potersi confrontare su sfaccettature davvero imprevedibili della propria vita, attraverso un setting (uno spazio ndr) fatto di ascolto, sospensione del giudizio e riflessione. Lo studio di uno psicologo non è solo un luogo di cura, ma diventa uno spazio di riflessione, consapevolezza e benessere. Quando nonostante l’impegno e la volontà di cambiare, si continua a soffrire, si ricade in quel loop, in quello schema comportamentale o di pensiero, in quella dipendenza, da cui si genera un forte senso poi di rabbia, tristezza, perdita o angoscia, allora forse è il caso di cominciare a pensare ad un aiuto professionale.

Scardiniamo insieme l’idea che chi vada dallo psicologo sia pazzo. Non è assolutamente vero. Da ogni psicologo si esplorano spazi di sé, emozioni, si attivano narrazioni differenti, punti di vista diversi, si costruisce un percorso di crescita e di cammino e ci si riesce a raccontare in maniera differente.

Ed adesso, vediamo il rovescio della medaglia… 

Perché non si va dallo psicologo? 

Una l’abbiamo già detta: “Lo psicologo è per i pazzi”. Nell’immaginario popolare la psicoterapia è percepita come un raccontarsi incessante e senza finalità. Quasi molto simile a parlare con un amico. In realtà, iniziare un percorso terapeutico significa iniziare un lavoro su di sé. Guidati da un professionista che consenta di raggiungere determinati obiettivi, grazie all’utilizzo di strategie e tecniche scientificamente validate, oltre che laddove ci sia, la comunicazione di una diagnosi. Per fare ciò è essenziale che tra psicologo e paziente esista massima trasparenza.

Capisco bene quanto possa essere difficile “fidarsi” e non pensare “nessuno può aiutarmi o capirmi”. Non voglio dirti nulla per convincerti, sono il primo ad odiare quegli articoli che tentano di convincerti di qualcosa, facendoti credere quanto un modo di pensare possa essere sbagliato. Ecco, il concetto di “giusto” e “sbagliato” in cui, molto spesso, è insito un giudizio di valore, lo eliminerei proprio se sei d’accordo.

Credo fortemente che in ogni passaggio della propria vita ognuno scelga consapevolmente come destinare le proprie risorse. Cosa fare, cosa ha capito essere importante, secondo la sua personale visione del mondo. Nessuno ha il diritto di dirgli che ha sbagliato in merito. So bene che prendere la scelta di iniziare un percorso terapeutico può essere una scelta difficile e sofferta. Ognuno ha le sue motivazioni per scegliere, così come non scegliere di prendersi cura di sé o della sua salute mentale.

L’obiettivo che mi propongo con questo articolo è proprio quello di allargare la visuale e lo spazio su questa scelta per fare in modo che sia più consapevole possibile.

Le motivazioni: perché non si va dallo psicologo?

Qui sotto alcune di quelle che più spesso ho incontrato

  • Paura: “Non sono pronto a scoprire qualcosa in più su di me”.
  • Rabbia: “Sono in grado di farcela da solo, non ho bisogno di nessun aiuto”.
  • Ansia: “Non so che mi aspetta, sarà terribile, non so che succederà”.

A queste si aggiungono altre motivazioni spesso, tra cui

  • Motivazioni a carattere economico: “La terapia costa decisamente troppo!”.
  • Precedenti esperienze fallimentari con psicologi o psichiatri.
  • Non conoscenza / consapevolezza di cosa si fa in terapia, a cosa serva, cosa fa uno psicologo.

Lo scopo di questo articolo non è quello di convincerti di quanto la tua idea sia sbagliata, ma piuttosto di provare a riflettere insieme se le lenti di cui sopra possano essere utili o portarti un vantaggio. Non vuole essere una sfida alla tua idea, ma bensì un allargamento di orizzonte. Prendiamo, ad esempio, l’emozione di rabbia. Il pensiero più spesso presente alla base di tale difficoltà nell’affidamento ad un professionista della salute mentale è: “Non ce l’ho fatta da solo, sono un fallito”. Ovvero, se chiedo aiuto, se non ce la faccio da solo…allora vorrà dire che… sono un fallito!

L’ammissione della propria difficoltà diventa, quindi, l’ammissione del proprio fallimento personale. Questo fallimento può essere visto in relazione al nostro essere uomini o donne, lavoratori, mariti o mogli, o più in generale esteso a noi come persone nella nostra interezza. Questo, a mio avviso, è un cortocircuito da cui è necessario partire per comprendere la cultura del successo.

L’idea o la cultura del successo: “sono davvero un fallito?” 

“Non credevo di essere così debole da aver bisogno dello psicologo!”. La cultura in cui siamo immersi, purtroppo, è oggi una cultura che premia la performance, la velocità, il profitto, l’essere sempre al top, pronti al successo. In questa corsa cui ci affanniamo finiamo spesso col perderci pezzi di noi. Lo psicologo viene visto come una figura che finisce con l’occuparsi solo “dei falliti”. Di chi non ce l’ha fatta a sopportare le durezza della vita, dei fragili. Chi vorrebbe dire di sé di essere fragile, in fin dei conti?

Le lenti che voglio provare a farti indossare spostano il paradigma da un’idea di forza / successo o fallimento, ad un’idea reale di cura a tutto tondo, di flessibilità contro quella di rigidità, di fallimento come chances per apprendere nuove competenze, di fragilità come ferita e vulnerabilità da cui apprendere.

Immagina anche solo per un attimo quante volte hai dovuto provare a ripetere quella pagina di storia alle medie prima di fare una buona interrogazione. Lo stesso, magari, varrà per le prove di guida per la patente. Se indossassimo le lenti di cui sopra, tutte quelle prove non sarebbero altro che fallimenti uno dietro l’altro. Immagino che ci siano state interrogazioni terribili, materie non date, fallimenti all’università, relazioni terminate. Tutti questi eventi di vita ti avranno segnato, ma ti avranno anche in-segnato molto su di te, sugli altri, sul mondo. La maggior parte delle persone che ho incontrato dal punto di vista lavorativo che avevano raggiunto enormi traguardi nella loro vita avevano fallito innumerevoli volte. Più di quelle in cui avevano avuto successo.

Per questo motivo io sono un grande fan della cultura del fallimento.

Perché non si va dallo psicologo? La paura di scoprirsi.

Andare da uno psicologo vuol dire soprattutto confrontarsi o vedersi davanti uno specchio, uno specchio che però, di tanto in tanto, ci fa vedere qualcosa in più di noi che prima non avevamo considerato o visto. In poche parole, è come avere tutte le carte lì davanti, disponibili, a volte scoperte, raccontarsele, dirsele. Può voler dire anche rimettere insieme i pezzi di questo specchio andato in frantumi (e questo lo fa la psicoterapia). Cambiare vuol dire esattamente scoprire l’utilità della propria sofferenza per sé. Scoprire che ruolo si gioca nel mantenimento o nella cronicizzazione del proprio malessere. Stare insieme alla propria rabbia fintanto, da non riuscire a vedere il dolore o il senso di colpa che la mantiene o la genera. Non si è mai pronti a scoprirsi, perché esattamente come per la vergogna di denudarsi davanti qualcuno, l’unico modo per affrontare questa legittima paura è comprendere con una fiducia costruita, che non si riceverà nessun giudizio. Mai. Scoprire, dunque, di rimando allo stesso modo che è possibile non giudicarsi per i propri fallimenti, o per il proprio vissuto, per le proprie difficoltà.

Motivazioni economiche: “Eh, ma quanto costa la terapia!” 

è una frase, anche questa, che ho sentito spesso, confesso. Allo stesso tempo quando una terapia sta riuscendo e si comincia a vedere un reale cambiamento, si comincia a stare meglio, a vedere i sintomi sparire, ad acquisire capacità di gestione della propria sintomatologia, è la frase che più spesso ho sentito ritrattare. I costi di una terapia possono essere elevati per un percorso di psicoterapia complesso per un disturbo di personalità ben strutturato, ma bisogna anche considerare che i costi derivanti dalla cronicizzazione di tali disturbi sono davvero incalcolabili: anni di vita, abuso di sostanze, tentativi di suicidio, perdita di anni di relazioni, occasioni lavorative, relazioni coniugali, sono solo alcuni degli outcomes che possono accadere. Immaginate di avere una grave depressione e di far passare davvero anni di vita prima di iniziare un percorso. Quel tempo non vissuto a causa della depressione, ha davvero un prezzo calcolabile? So che può essere duro rinunciare a quel vizio di fumare, al viaggio d’estate quando non si hanno molti soldi per potersi permettere una terapia, ma sul piatto della bilancia dal lato opposto c’è la vostra salute (e non solo mentale molte volte).

Tenetelo inMente!

Allo stesso modo, so anche che moltissime persone quei soldi non ce li hanno proprio neanche a voler fare delle rinunce. Per questo motivo noi psicologi prestiamo molto spesso servizio nei servizi pubblici come tirocinio all’interno del quale tutti possono accedere gratuitamente al sostegno psicologico.

Tienilo inMente è il blog del dottor Giuseppe Scuderi, psicologo clinico e digitale. È possibile interagire con lui attraverso i suoi social.

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