Dati Covid in Sicilia, chiusa l’inchiesta della Procura di Palermo

Sei gli indagati per falso in concorso tra cui l'assessore regionale alla Salute Ruggero Razza

Chiuse dalla Procura di Palermo le indagini sui presunti dati Covid falsi che sarebbero stati comunicati dalla Regione Siciliana al Ministero della Salute nel pieno della pandemia.

Sei sono gli indagati per falso in concorso: l’assessore regionale alla Salute Ruggero Razza, l’ex dirigente generale del Dipartimento regionale per le attività sanitarie e osservatorio epidemiologico (Dasoe) Maria Letizia Di Liberti, il direttore del servizio quattro del Dasoe, Mario Palermo, Salvatore Cusimano, dipendente dell’assessorato regionale all’Industria e nipote di Di Liberti e da lei chiamato a lavorare al suo fianco, Emilio Madonia, dipendente di una società privata che si occupava della gestione del flusso dei dati sul Covid, Roberto Gambino, dipendente dell’Asp di Palermo e distaccato al Dasoe. A Di Liberti e Madonia gli inquirenti contestano anche di avere indotto in errore il Ministero alla Salute attraverso la comunicazione di dati falsi sull’emergenza pandemica.

L’inchiesta condotta dai Carabinieri del Nas di Palermo e di Trapani è stata coordinata inizialmente dalla Procura di Trapani e poi è stata trasmessa ai pm di Palermo per competenza territoriale. Secondo l’accusa, sulle piattaforme informatiche regionali e ministeriali, nei mesi scorsi, sarebbero stati caricati dati falsi sul monitoraggio dell’epidemia Covid in Sicilia. Alla luce delle errate comunicazioni inviate dalla Regione, il Ministero della Sanità e l’Istituto superiore di Sanità classificarono la Sicilia a rischio basso e non moderato nella settimana dal 14 al 20 dicembre.

Sono cadute invece le contestazioni relative ai dati falsi sui decessi in quanto prive di rilievo penale. Quando fu pubblicata la notizia dell’apertura dell’inchiesta, fece scalpore la frase dell’assessore Razza intercettato mentre consigliava: di “spalmare” nei giorni “i dati sui morti di Covid”. L’assessore, travolto dalle polemiche, si è scusato ammettendo che era stata una “frase infelice”. Gli indagati potranno presentare memorie difensive e chiedere di essere interrogati. La conclusione dell’indagine precede in genere la richiesta di rinvio a giudizio.

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