Gli arresti effettuati ieri dai Carabinieri del Ros che hanno assicurato alla giustizia tre soggetti a cui vengono attribuiti ruoli di primo piano nella fitta rete di complicità attorno al boss mafioso Matteo Messina Denaro che ha consentito e reso possibile la sua trentennale latitanza.
Un circuito che, grazie alle indagini, si va svelando, nonostante la pressocché toltale omertà che ancora oggi, a distanza dì pochi mesi dalla morte del capo mafia, “avvolge come una nebbia fittissima tutto ciò che è esistito intorno alla sua figura, ai suoi contatti, ai suoi spostamenti e alle relazioni che ha intrecciato nei lunghi anni di clandestinità. Si tratta di un’omertà trasversale che di fatto, allo stato, ha precluso – dicono i magistrati della Procura di Palermo – di avere spontanee noizie anche all’apparenza insignificanti”.
“Nessun medico, operatore sanitario o anche semplice impiegato di segreteria che abbia avuto contatti con Messina Denaro Matteo (alias Andrea Bonafede) – proseguono gli inquirenti – ha ritenuto di proporsi volontariamente per riferire ai magistrati o alla polizia giudiziaria di essersi occupato, a qualsiasi titolo, del latitante o comunque rivelare quanto appreso direttamente, o anche solo indirettamente, sulle cure prestate all’importante capo mafia”.
In tale “sconcertante contesto”, le indagini svolte dal ROS dei Carabinieri hanno consentito di far emergere gravissime complicità provenienti da quella cerchia di fedelissimi, diversa dal nucleo familiare dei Bonafede, che ha protetto il capo mafia, creandogli uno scudo di apparente normalità per consentirgli di vivere nel ‘suo’ territorio e restare così al comando dell’associazione mafiosa.
I pm parlano dell’esistenza “di una vasta, trasversale e insidiosissima rete di sostegno, ancora in minima parte svelata, che ha consapevolmente supportato le funzioni di comando del Messina Denaro, consentendogli una latitanza sul territorio, con documenti, auto e moto, esami clinici e contatti nel mondo sanitario”.